L’ultima ipotesi sulla quota 100 vede nuovi tetti, a 62 anni e 38 anni di contributi, ma con nuove penalizzazioni per chi sceglie questa forma di pensione anticipata: non si potrà sommare redditi da lavoro alla pensione. Questo limite potrebbe essere subordinato al solo calcolo dell’assegno previdenziale, mentre se così non fosse vorrebbe dire che chi si ritira con la quota 100 non potrebbe più continuare l’attività a lavorare, né in forma autonoma né come dipendenti.
La ratio sarebbe quella di evitare forme di pensione anticipata con riassunzione o contratti di collaborazione, a costo più basso. Per contenere i costi, il Governo mira a rispettare la proporzione secondo cui ogni due posti che si liberano grazie alla quota 100 si crea lavoro per un giovane. Il deterrente è forte: infrangendo il divieto di cumulo reddituale si rischia di dover restituire parte della pensione all’INPS (si parla del 50%).
Il punto è che il Governo ha l’obiettivo di introdurre nuove forme di flessibilità in uscita per favorire il ricambio generazionale, e di conseguenza studia un meccanismo che favorisca effettivamente il turn over.
Per quanto riguarda i paletti di età anagrafica e versamenti contributivi, bisogna rispettarli entrambi. Quindi, la somma di età e contributi deve fare 100 ma l’età non può essere inferiore a 62 anni e gli anni di contributi non possono essere meno di 38. In pratica, un lavoratore di 60 anni con 40 anni di contributi non può andare in pensione anche se la somma fa 100. Dovrà aspettare i 62 anni. Viceversa, un lavoratore che ha 64 anni e 36 anni di contributi non può utilizzare la quota 100 ma dovrà aspettare a sua volta di avere 38 anni di contributi.
Resta in piedi anche l’ipotesi di ulteriori penalizzazioni legate all’età, con un taglio all’assegno per ogni anno di anticipo rispetto al requisito per la pensione di vecchiaia (dal 2019, a 67 anni). Ipotizzando una decurtazione dell’1,5% per ogni anno di anticipo, un lavoratore che si ritira con la quota 100 a 62 anni prende una pensione più bassa del 7,5% rispetto all’assegno pieno.
Infine, sembra probabile che ci saranno anche limiti alla contribuzione figurativa (al massimo due anni). Quindi, se un lavoratore ha 35 anni di contributi da lavoro effettivamente versati e tre anni di contributi figurativi, in realtà ai fini della quota 100 può conteggiare solo 37 anni di contributi, e non ha ancora il requisito per ritirarsi.
Mentre l’esecutivo è al lavoro sulle misure di Riforma Pensioni da inserire in manovra, i sindacati confederali esprimono parere contrario alle penalizzazioni per chi si ritira a 62 anni con la quota 100, e avanzano altre richieste:
- proroga APe Sociale e Opzione Donna,
- misure per i giovani,
- nuova salvaguardia esodati.
Cgil, Cils e Uil chiedono un incontro al Governo prima della presentazione della Legge di Bilancio 2019, quindi nei prossimi giorni (la manovra deve essere approvata entro metà ottobre).