Passa la voglia di fare ironia sulle uscite di Luigi Di Maio sulle “spese immorali” che i beneficiari dello pseudo-reddito di cittadinanza non saranno autorizzati a compiere. Le sigarette, magari, i gratta e vinci, un nuovo rasoio elettrico. Chissà. Il reddito sarà erogato su una carta e questo permette la tracciabilità, ha spiegato il vicepremier. Ed è fin troppo semplice accusare il governo di “effetto 1984”, cioè di puntare a un ecosistema orwelliano tenuto strettamente sotto controllo. In cui la povertà è abolita ma solo se si acquista quanto permesso, in una personalissima concezione di dignità.
Insomma, non interessa fare ironia se non, magari, sottolineare la pochezza tecnologica con cui si sta mettendo in cantiere il provvedimento, con il Team per la trasformazione digitale che sta per perdere il suo demiurgo Diego Piacentini. Stesso discorso per i centri per l’impiego (datemi il tempo di metterli a posto e un software per gestirli), che impiegano “appena” 9mila persone in 550 sportelli. I numeri dell’Istat ci raccontano come in Italia i disoccupati che hanno trovato impiego si sono rivolti a questi uffici soltanto nel 2,4% dei casi, preferendo contattare amici e parenti (40,7%) o direttamente i potenziali datori di lavoro (17,4%).
Anche le imprese vi si rivolgono poco o nulla: secondo l’ultima rilevazione disponibile (Unioncamere-Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, 2015), nel 2014 appena l’1,5% delle aziende ha utilizzato per ricerca e selezione del personale un centro di collocamento. Dovrà essere miracoloso, il software che vuole Di Maio. Certo, qualcosa di più di Rousseau e delle piattaforme che girano alla Casaleggio & dintorni.
Il punto però è un altro. E il tira e molla dell’ultima settimana – partito dal balcone di palazzo Chigi e transitato sul barcone sul Tevere dove il cerchio pentastellato avrebbe bissato i festeggiamenti – sta a dimostrarlo. Se vogliamo dirla tutta, le uniche “spese immorali” che si vedono al momento sul tavolo sono quelle messe in cantiere dalla maggioranza per la prossima legge di Bilancio, anticipate dal perimetro che si sta costruendo con un faticoso (e al momento virtuale) Documento di economia e finanza.
Sono immorali per una grande quantità di ragioni.
- Mettono a repentaglio gli impegni di riduzione del deficit, in ottica debito, assunti con l’Unione Europea.
- Fin dallo scorso giugno stanno partorendo maggiori spese per gli interessi legati al rifinanziamento di quello stesso debito. Cioè stanno togliendo agli italiani mentre promettono di dare.
- Spostano sulle generazioni future, già praticamente certe di una pensione da cani, il peso di un welfare tutto orientato alle fasce più anziane della popolazione. Certo da tutelare, ma che sfoggiano evidentemente un peso elettorale maggiore rispetto ai giovani di questo Paese, pochi e disorganizzati. Oltre che disoccupati.
- Si mette in cantiere l’ennesimo condono fiscale e forse pure previdenziale, in un Paese dissanguato dall’evasione e non si introduce alcuno strumento di equità e giustizia (piccolo ma significativo esempio: qualche bella sanzione per chi non usa i POS, visto che a Di Maio sembra piacere molto la tracciabilità?).
- Si prendono in giro quegli stessi giovani che si ignorano. Basti leggere le dichiarazioni di ieri del ministro degli Affari europei, ma dell’Economia in pectore, Paolo Savona:
La revisione della legge Fornero sulle pensioni è stata decisa perché siamo sufficientemente convinti che avrà un moltiplicatore per cui ogni pensionato trascinerà due giovani nel sistema del lavoro.
Ma Questo non è detto, è anzi abbastanza improbabile. Come ha detto qualche giorno fa il presidente dell’Inps Tito Boeri:
Non c’è nessuna garanzia che i giovani vadano a sostituire i nuovi pensionati, dal momento che le aziende reagiscono a seconda delle situazioni in cui si trovano e potrebbero approfittare di questo per gestire lo smaltimento organici.Nella storia del nostro Paese non c’è mai stata la sostituzione dei pensionati con i giovani.
Non è forse immorale parlare in questi termini e spacciare simili illusioni? Ce ne sarebbero molte altre, di ragioni per cui le uniche “spese immorali” sono quelle di Di Maio e dei suoi fratelli al governo.
Un’altra potrebbe essere lo stesso metodo utilizzato in questi giorni, che mette sotto accusa i tecnici dei ministeri per lavarsene le mani, quando l’allocazione delle risorse di bilancio è una questione squisitamente politica, così come i tagli. Ma questa strategia torna utile per mostrarsi agli elettori sempre con le mani pulite.
Altro motivo è il balletto delle cifre sia all’interno della maggioranza che nelle dinamiche che vengono comunicate, spesso a vuoto o con spazi bianchi da riempire. Dal 2,4% annuale del deficit triennale si è passati a un percorso “più morbido” per i due anni seguenti.
Poco degno anche il battibecco con l’Unione Europea, che non ci dà più soldi – come alcuni forse pensano – ma ci ricorda di non indebitarci ulteriormente. O infine l’allusione continua ai “piani B” e alle “monete nazionali”, per alcuni evidentemente reale obiettivo di governo.