La crociata del Movimento 5 Stelle, e in misura minore della Lega, contro “i parrucconi”, anzi contro “il lato oscuro dello Stato” che remerebbe contro il governo del cambiamento, ha oggettivamente esaurito. Si tratta di uno sport in cui il governo attuale si dimostra ottimo praticante: quello della contrapposizione fra pezzi dello Stato.
Occhio però: non solo si gioca col fuoco ma la narrazione complottista prima o poi mostrerà la corda di fronte al dato di realtà. Di fronte all’incapacità (o ingordigia) politica – lo ribadisce anche il ministro dell’Economia Giovanni Tria – ben sintetizzata dall’audio, spontaneo o teatrale poco importa, del plenipotenziario della comunicazione pentastellata Rocco Casalino, il quale promette la “megavendetta” nei confronti dei tecnici di via XX settembre. Lessico da quinta elementare per chi ha in mano le chiavi del Paese.
Daniele Franco, Roberto Garofoli, Alessandro Rivera. Rispettivamente ragioniere generale dello Stato, capo di gabinetto di Tria e direttore generale del Tesoro. Sarebbero loro i principali imputati, secondo il Movimento, i signori del lato oscuro, rei di non trovare i fondi “nelle pieghe del bilancio”, come ama ripetere la sottosegretaria Laura Castelli.
Ma se è vero che nelle pieghe del bilancio si può trovare qualche decina di milioni di euro, discorso diverso è materializzare – col punto di partenza che ci ritroviamo, dal debito pubblico monstre agli interessi su quello stesso debito – dieci o venti miliardi di euro.
Nel DEF in arrivo in settimana con gli orientamenti di finanza pubblica, fra cui la stima del PIL e i saldi della manovra, rimarrà dunque quel numero: 1,6% del rapporto deficit-PIL, quanto promesso dal titolare dell’Economia all’Europa. Nonostante tutte le pressioni e il fracasso senza sosta delle claque socialcomandate da palazzo Chigi.
“Dev’essere il premier Conte a farsi sentire nelle sedi europee” avrebbe detto Tria. Più in generale, il tema dietro queste settimane di fumo negli occhi, fra quota 100 e pensioni di cittadinanza, è dunque uno soltanto: la politica non può addossare a chi lavora per tenere in bilico lo sgangherato bilancio di questo Paese – spolpato da mafia, corruzione ed evasione fiscale – i propri limiti di influenza.
In effetti, l’impressione è che, invece di giocarla sensatamente a Bruxelles – magari mostrando qualcosa di più di una minaccia – i due vicepremier Salvini e Di Maio e i loro staff abbiano spostato la battaglia sul fronte interno. Alla Legge di Bilancio. Che tuttavia, per ragioni matematiche e di opportunità, oltre certi paletti non può spingersi.
Ma soprattutto individuando il nemico nei “parrucconi” di Stato, colpevoli di stringere la cinghia anche quando non ce ne sarebbe bisogno. E invece mai come oggi sarebbe necessaria la severità, specialmente quando si intravedono all’orizzonte gli infausti effetti a catena di condoni fiscali e previdenziali di cui non avevamo bisogno. Il quadro, insomma, è profondamente miserevole.
Da una parte c’è il Movimento 5 Stelle che non intende rinunciare almeno a uno dei suoi provvedimenti essenziali: reddito e pensione di cittadinanza. D’altronde, non ha nulla o quasi in mano. Il poco utile Decreto Dignità appare infatti già sbiadito nelle foschie estive.
Dall’altra c’è la Lega, non a caso molto più comprensiva con Tria e i suoi esperti, che si appresta a portare a casa un risultato tangibile, quello del maxidecreto su sicurezza e immigrazione oggi al vaglio del Consiglio dei Ministri. Certo ha le sue richieste per la legge di Bilancio, dalla riforma della Fornero alla flat tax, ma sembra già rassegnata ai forti ridimensionamenti per salvare la faccia.
In mezzo, sibila un fuoco di fila da cui il responsabile del Bilancio deve guardarsi, cercando di mantenere i patti con Bruxelles, di non innervosire i mercati e mediare fra proposte non sempre centrate e quasi mai compatibili con i margini di spesa. Auguri.