Il Quantitative Easing (QE), o “alleggerimento quantitativo”, è il meccanismo con il quale la Banca Centrale Europea (BCE) acquista titoli di Stato dalle banche con lo scopo di immettere nuovo denaro nell’economia europea, incentivare i prestiti bancari verso le imprese e orientare la crescita dell’inflazione.
Ora, la BCE si prepara a mettere fine all’acquisto di titoli di Stato, con indubbie ripercussioni sull’Italia che dovrà confrontarsi autonomamente con gli investitori internazionali e con il rialzo dei tassi di interesse.
Fine QE: effetti in Italia
Nel valutare l’impatto che avrà sull’Italia la fine del QE è necessario tenere conto dell’attuale situazione del Paese, già provato dalle recenti incertezze politiche alle quali si aggiunge la spada di Damocle dei dazi USA.
Nel caso in cui la BCE dovesse mettere fine al Quantitative Easing, nelle aste durante le quali vengono collocati i titoli di Stato, gli investitori internazionali faranno pesare il debito pubblico italiano. Oltre a questo, l’Italia dovrà fare i conti con il rialzo dei tassi di interesse, anche se non è previsto un brusco rialzo dell’inflazione, e dei tassi dei mutui con particolare riferimento a quelli variabili basati sull’Euribor.
ECB press conference: il Presidente Mario Draghi spiega le decisioni di politica monetaria https://t.co/BGX2M9vcjj
— European Central Bank (@ecb) 14 giugno 2018
QE: opportunità o flop?
A valutare se porre realmente fine al QE sarà il Consiglio direttivo della BCE che si terrà il 14 giugno a Riga, come anticipa Peter Praet, membro del comitato esecutivo:
Il consiglio direttivo dovrà fare questa valutazione, se i progressi fatti finora sono stati tali da richiedere una graduale uscita dai nostri acquisti netti.
C’è comunque da dire che, se da una parte lo scopo del Quantitative Easing è di abbassare gli interessi sul debito e i tassi di interesse su mutui e prestiti aumentando al contempo l’inflazione e i finanziamenti, dall’altra è anche vero che in molti lamentano il mancato raggiungimento di questi obiettivi: a conti fatti, gran parte della consistente iniezione di liquidità arrivata dalla Banca Centrale alle banche è rimasta al loro interno per andare ad aumentare il livello di patrimonializzazione, anziché essere impiegati nell’economia reale.
Aggiornato il 2018-06-14 00:00:00