Il punto a favore è che si forma «un Governo nuovo, giovane, che mette insieme due persone che hanno proposto tante cose». Il timore, è il rischio di inesperienza. L’auspicio, è che vadano incontro alle esigenze delle imprese, che nei lunghi anni della crisi «si sono difese con l’export, ma hanno anche bisogno di un mercato interno più forte». Così Paolo Galassi, presidente di API (associazione piccole e medie industrie), intervistato da PMI.it, commenta la formazione del Governo Conte, sostenuto dalla maggioranza Movimento 5 Stelle e Lega.
Propone anche una metafora, per sottolineare l’importanza di ragionare sul lungo periodo: «un imprenditore non regala mai nulla, nemmeno ai clienti. Se abbasso il prezzo, riuscirò a fare una vendita, magari due, ma alla fine il cliente lo perdo». La qualità, l’attenzione, la serietà, sono importanti, e sono caratteristiche che appartengono a chi fa impresa. «I politici – dice, scherzosamente, il presidente di API – ragionino con il cervello dei piccoli imprenditori: più sono piccoli, più hanno attenzione. Incomincino ad avercela anche loro».
«Spero che ci sia un cambiamento. Ho reagito negativamente quando sul nodo Savona sembrava saltasse tutto». Si definisce europeista convinto, ma insiste su una necessità che è di primaria importanza per le imprese: «è assurdo che non ci siano le stesse regole economiche e relative al mercato del lavoro. Non è solo con l’euro che si uniforma l’Europa». Dunque, sono necessarie politiche di integrazione comunitaria in materia di impresa e lavoro.
I temi sul tavolo: alto costo del lavoro, più credito alle imprese, attenzione alla nuova imprenditoria. «La politica di dieci anni di crisi non ha dato l’imprimatur su una vera strategia industriale». In qualche modo, «stiamo finanziando il passato, non stiamo pensando al futuro. Ci sono molti laureati che vanno a lavorare all’estero». Per trovare un equilibrio, «ci vuole un cambiamento, come quello che Di Maio e Salvini promettono. Dicono che è la Terza Repubblica, bene. Però non la facciano litigando con l’Europa, ma facendosi valere in Europa. Le guerre non si fanno solo con i carri armati, ma anche con la finanza, con il costo del lavoro. Non è una guerra, ma è come se lo fosse».
In Italia, è urgente occuparsi di politiche industriali.
La meccanica si esaurisce, la chimica non c’è quasi più, l’edilizia è mezza morta. Sono settori importanti, sui quali bisogna impostare una strategia politica.
Bisogna poi intervenire sul costo del lavoro, puntando all’armonizzazione delle regole comunitarie ma anche trovando una serie di equilibri fra la necessità di combattere il lavoro precario, fare formazione, bilanciare la presenza e il costo, in azienda dei lavoratori più anziani e più giovani.
Si potrebbe pensare a misure che prevedano una gradualità, ad esempio sulle pensioni. Va bene andare in pensione a 67 anni, ma introducendo anche meccanismi che consentano di ritirarsi prima o di abbassare il costo dei lavoratori più anziani attraverso la leva fiscale.
E comunque tutelando il manifatturiero, un settore in cui le imprese, necessariamente, dichiarano tutto. «E hanno un costo del lavoro elevato anche perché si compensano in questo modo altre cose. In Italia, abbiamo una parte di PIL che non paga le tasse». Quindi, anche in materia di costo del lavoro, politiche differenziate che tengano conto della peculiarità dei diversi settori. Non tagli lineari al costo del lavoro».
Un tema caro alle imprese è la delocalizzazione, plauso alla parte del programma che prevede di colpire le imprese che lo fanno:
ci vogliono politiche coordinate con l’Europa, la delocalizzazione non si controlla sono in Italia. Il lavoro in Polonia non può costare un terzo di quello italiano. Noi abbiamo delle eccellenze, pensiamo alla moda, alla tecnologia, alla meccanica di precisione, con maestranze che tutto il mondo ci invidia. Una manodopera fantastica, che si è formata nel secondo produttore manifatturiero d’Europa e sesto al mondo.
Tutto questo, si tutela anche con il potenziamento del mercato interno. Che, certo, non viene aiutato da ipotesi di aumento IVA. «Nessun imprenditore vuole vedere l’IVA salire al 25%». Il Governo, comunque, nel programma prevede di sterilizzare le clausole di salvaguardia, evitando quindi l’aumento IVA dal 2019. Bisogna in tutti i modi «sostenere il potere d’acquisto degli italiani, per far decollare il mercato interno», stimolando la domanda. L’aumento IVA, invece, riduce le vendite interne, che già per una media impresa «rappresentano solo il 30-40% del fatturato».
Infine, il reddito di cittadinanza: «bene se ha un obiettivo, ma non si possono regalare soldi». Quindi, bisogna evitare fenomeni distorsivi, (esempio: «non si può lavorare in nero e poi prendere il reddito di cittadinanza»), è quindi una misura molto difficile da attuare, perché richiede un sistema anche di controlli adeguato. E va accompagnata con il potenziamento dei centri per l’impiego.