Secondo una recente ricerca – che HSBC ha commissionato all’Università di Padova-CMR – sui processi di internazionalizzazione, l’Italia risulterebbe un Paese acquirente piuttosto che venditore e due aziende italiane su tre (65%) non utilizzano il marchio “Made in Italy” nel loro business internazionale. Si tratta di alcuni dei falsi miti messi in discussione dalla rilevazione “Le aziende italiane alla conquista dei mercati esteri“, effettuata intervistando oltre 800 aziende italiane di medie e grandi dimensioni.
Made in Italy
Chi impiega il marchio Made in Italy riconosce però l’elevato valore aggiunto che genera (90%). Le aziende italiane che utilizzano questo marchio appartengono prevalentemente ai settori tessile, della moda (80%) e alimentare (59%).
Acquisizioni
Secondo la ricerca quasi la metà delle medie e grandi aziende italiane ha realizzato almeno un’acquisizione e, nell’81% dei casi è avvenuta all’estero, mentre solo il 13% delle aziende di medie e grandi dimensioni italiane è stato acquisito da società estere. Dunque l’Italia non è un “Paese in vendita”.
Produttività e redditività
Sfatato anche il mito secondo il quale “l’esportazione aiuta le aziende a risolvere i loro problemi di produttività e redditività”: essa amplifica sia i comportamenti virtuosi che viziosi delle imprese, ma non sussiste alcuna relazione tra redditività e produttività e apertura verso l’internazionalizzazione. Tuttavia l’analisi sottolinea come le aziende che decidono di diventare esportatrici tendono a essere quelle che hanno già un elevato livello di produttività.
Imprese innovative
Non è vero poi che “le aziende italiane non innovano”: meno del 30% delle aziende non innova, mentre quasi il 90% degli esportatori più rilevanti ha introdotto innovazioni di prodotto e di processo negli ultimi tre anni.
Non solo manifatturiero
Ad esportare non sono solo le imprese manifatturiere, anzi oltre il 65% delle principali società italiane che operano nel settore terziario esporta.
Le motivazioni di chi esporta
Chi decide di internazionalizzare non lo fa per tagliare i costi, come spesso si è portati a pensare: si tratta della motivazione che muove verso l’estero solo il 22% degli intervistati, mentre il 39% è spinto ad aprirsi ai mercati esteri per la presenza di clienti o fornitori chiave a livello locale (39%), oltre alla disponibilità di partner locali qualificati (20%) e alla vicinanza dei mercati di sbocco (18%).
Burocrazia
Tra i falsi miti più diffusi troviamo poi la convinzione che “la burocrazia e le questioni fiscali sono solo problemi italiani”, invece ben il 61% delle principali aziende italiane evidenzia tra gli ostacoli dell’operare all’estero proprio la burocrazia, a seguire la difficoltà di reperire adeguato capitale umano (47%), la protezione della proprietà intellettuale (per il 39% delle imprese), le differenze linguistiche e culturali e la corruzione (19%).