L’immagine dell’Italia all’estero è buona, anzi ottima, ma ci sono sfide aperte per il Made in Italy: la prima, sottolinea Leonardo Simonelli Santi, presidente Assocamerestero in Gran Bretagna, è fare sistema. Ci sono settori simbolo come la moda, il design e l’agrifood, in cui il Made in Italy esprime da solo tutto il suo potenziale, ma ci sono campi meno noti in cui l’Italia eccelle e che bisogna adeguatamente sostenere, come ricorda Federico Donato, presidente dell’associazione a Singapore, una delle porte del mercato asiatico.
Sono riflessioni a margine dell’evento Assocamerestero e Fondazione Symbola dedicato al rapporto “L’Italia in dieci selfie“, presentato in un tour mondiale per comunicare un’immagine inedita delle eccellenze italiane.
A Singapore l’Italia è nota soprattutto per il design ma il tema principale della mia presidenza è far conoscere gli altri settori in cui esprimiamo eccellenze: la farmaceutica, i grandi marchi dell’alimentare, anche produttivo.Il glamour della moda e del design aiuta ad entrare nei mercati internazionali e veicolare l’immagine dell’Italia. Ma poi arriva, per esempio, la meccanica di precisione. Pensiamo a marchi come Ferrari, o Lamborghini: c’è un contenuto di design, trend, fashion, unico la mondo. Ma stiamo parlando di macchine con un contenuto di ingegneria, ricerca, sviluppo, che è enorme.
La Germania è immediatamente riconosciuta come un paese a grande vocazione di ingegneria, perché fabbrica le Bmw. Ma è importante spiegare che nella Bmw il contenuto di Made in Italy è altissimo. Ci sono tante aziende, spesso di media dimensione, in Italia, che contribuiscono a questo risultato».
Altro esempio, «l’Italia ha realizzato il terzo satellite nello spazio». Insomma, ci sono settori in cui non siamo immediatamente riconoscibili, pur esprimendo eccellenze internazionali.
Simonelli insiste su un punto: iniziative come i dieci selfie dell’Italia nel mondo sono utili, in particolare per due motivi: forniscono una visione più intellettuale, dando un senso alla solita esposizione di dati. E sono efficaci, dimostrando che l’Italia è un paese che esprime molteplici eccellenze.
«L’immagine dell’Italia all’estero è molto buona, anche grazie all’ottimo lavoro delle comunità italiane all’estero. La creatività del Made in Italy è universalmente apprezzata. Ma ora si tratta di fare sistema, e questa è per noi la cosa più difficile perché siamo individualisti. Ma nel mondo glocal bisogna essere intelligenti nell’affrontare le nuove sfide».
A Londra, per esempio, sono e vanno ulteriormente valorizzate le specificità italiane nella ricerca, nella medicina, nelle professioni. In Asia, invece, la meccanica, la farmaceutica, alcuni ambiti delle tecnologie innovative foodtech. La moda, ricorda Donato «non ha bisogno di comunicare al mondo che l’Italia deve essere presa sul serio. Per settori come la difesa e la meccanica, invece, bisogna lavorare di più».
Un altro elemento di riflessione riguarda la differenza fra export e internazionalizzazione.
«L’export è fondamentale, ma non è sinonimo di internazionalizzazione, che vuole dire investimenti produttivi delle aziende all’estero. Dobbiamo investire soldi, creando posti di lavoro nei paesi in cui si investe. Questo no significa togliere lavoro al proprio paese, ma puntare su mercati che devono avere uno sviluppo locale. Non si va più in Cina per produrre a basso costo, gli investimenti in Asia costano un sacco di soldi, ma chi non produce in loco fa fatica ad entrare».
E’ uno sforzo a portata di PMI? La risposta di Donato è positiva:
«il discorso vale anche per le PMI, selettivamente. Ci sono grandi aziende con una mentalità datata e piccole imprese che invece hanno molto successo».
Un esempio emblematico:
«a Singapore c’è un Gran Premio di Formula 1 notturno. Pochi sanno che da dieci anni, l’appalto per le luci è di una media azienda italiana di Forlì, che fattura milioni di dollari. Per vincere e illuminare un Gran Premio contro tutti i colossi internazionali bisogna essere bravi».
Sono traguardi che richiedono coraggio, ma spesso il problema è di cultura, solo parzialmente dipende dalla dimensione aziendale.