Che i dirigenti guadagnino di più degli operai è cosa nota e se vogliamo corretta per una necessaria gerarchizzazione aziendale. Il problema è che in Italia la differenza tra lo stipendio medio di un dirigente e quello di un operaio è di 356 euro al giorno, mentre rispetto ad un impiegato quadro gli operai perdono 127 euro. Se la passano male anche gli impiegati, con appena 22 euro al giorno in più di un operaio.
A fotografare le diseguaglianze nelle retribuzioni è il rapporto IREF (centro studi Acli), che denuncia anche il caso limite di apprendisti e donne i più discriminati.
Le cifre emerse sono frutto dell’elaborazione dei dati INPS sui contribuenti italiani, in particolare sui lavoratori dipendenti del settore privato.
Aggravano inoltre la situazione il lavoro sommerso e i contratti atipici, che mostrano nel nostro paese trend assolutamente non invidiabili. Il primo registra infatti il 12% dell’intera popolazione lavorativa, con punte del 18% al Sud e in particolare del 27% in Calabria.
Il secondo comprende un altro 12% di lavoratori a tempo parziale e un 11% di lavoratori a tempo determinato e collaboratori. Lavoro a tempo parziale che, tra l’altro, interessa 1milione e 800mila, mentre è più equo nelle altre categorie.
Una visione d’insieme non buona, quindi, che contribuisce a mantenere l’Italia nel gruppo di Paesi con il maggior numero di “scoraggiati“, ovvero persone disponibili al lavoro ma che si dichiarano sfiduciati rispetto alla possibilità di ottenere un impiego.
Una sorta di circolo vizioso che tiene lontano il 10% dei disoccupati da possibili occasioni e colloqui lavorativi, rispetto ad una media europea che oscilla intorno al 4%.