Il nuovo contratto a tempo indeterminato con tutele crescenti previsto dalla Riforma del Lavoro rischia di ingessare il mercato riducendo la mobilità interna, ovvero i passaggi da un posto all’altro: a un dipendente oggi tutelato dall’articolo 18, infatti, non conviene cambiare impiego dal 2015, firmando un contratto che non prevede reintegro in caso di licenziamento ingiusto. Un problema non da poco, se si considera che in Italia ogni anni avvengono 1,5 milioni di cambi di contratto volontari su 14,5 milioni contratti a tempo indeterminato in aziende con oltre 15 dipendenti.
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La questione si pone dopo il cambiamento della norma avvenuto nel passaggio alla Camera: il testo originario del del Jobs Act prevedeva le tutele crescenti solo per i giovani al primo impiego mentre il testo uscito da Montecitorio applica la nuova formula a tutte le assunzioni con contratto a tempo indeterminato. Il problema si pone per aziende e PMI sopra i 15 dipendenti: nelle altre, i contratti a tempo indeterminato già non erano coperti dall’articolo 18.
Mobilità interna
Il passaggio da un contratto all’altro comporterà automaticamente dunque la perdita del diritto al reintegro, costituendo un forte disincentivo per il lavoratore a cui viene offerta la possibilità di cambiare lavoro.Il tutto, con un effetto contrario allo spirito stesso della Riforma: rendere più fluido il mercato migliorando i meccanismi di incontro fra domanda e offerta.
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Cambio di contratto
C’è anche un secondo rischio (forse meno probabile), ovvero quello che le aziende cerchino di approfittare della Riforma per trasformare i contratti dei dipendenti a tempo indeterminato, sostituendoli con il nuovo contratto a tutele crescenti. Si tratta di un’ipotesi forse più teorica che realistica, visto che in questo caso il rischio di perdere un’eventuale causa di ricorso sarebbe ovviamente molto alto. Ma comunque è un rischio che esiste.
Il modo di correggere in corsa la norma c’è, visto che il Jobs Act deve ancora passare al vaglio del Senato. Certo, c’è un problema di tempi, perché se ci fossero modifiche a Palazzo Madama la legge dovrebbe poi tornare alla Camera. E sarebbe a rischio l’approvazione entro fine anno fortemente voluta dal governo.