Più svantaggi o benefici derivanti dall’utilizzo di Facebook e altri social media sul luogo di lavoro? Al di là di tutte le considerazioni, trascorrere troppo ore sui social network durante il lavoro può portare a una violazione disciplinare concreta, ribattezzata “assenteismo virtuale“.
Un lavoratore che spreca tempo in attività “sociali” durante l’orario di lavoro si può definire inadempiente e subire ripercussioni disciplinari più o meno gravi, stabilite in base al tempo sottratto al lavoro, alla frequenza d’uso dei social network e altre circostanze del caso.
La Cassazione ha più volte sottolineato che il diritto di critica del lavoratore dipendente è limitato da obblighi di collaborazione e di fedeltà, e Facebook deve essere considerato per sua natura un ambiente pubblico o quantomeno semi-pubblico. Secondo quanto ricordato dal Sole 24 Ore, quindi, sanzioni (anche pesanti) sono previste per chi contribuisce alla diffusione di commenti negativi sul proprio datore di lavoro o di informazioni riservate sull’attività aziendale.
D’altro canto, non si può usare Facebook per accedere a informazioni personali su candidati e assunti. Nonostante si tratti di dati che si è scelto di condividere, l’articolo 8 dello Statuto dei Lavoratori «vieta qualsiasi indagine, anche pre-assuntiva, non solo sulle opinioni del lavoratore, ma anche su qualsiasi fatto che non sia rilevante ai fini della valutazione dell’attitudine professionale».
Per limitare i danni ad aziende e dipendenti, i datori di lavoro possono “razionalizzare”l’accesso ai social network o impedirne l’uso. Secondo il Garante della Privacy si tratta di metodi entrambi legittimi; tuttavia, il secondo appare preferibile in quanto eviterebbe controlli ed interventi che potrebbero invadere la privacy dei dipendenti.
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