Nel periodo 2002-2006 le iniziative italiane all’estero sono state pari a 1354 contro le 4438 della Germania e le 3775 del Regno Unito. Gli investimenti sono stati pari a 65 milioni di dollari contro i 134 del Regno Unito e i 104 della Francia. L’Italia si trova, dunque, in difficoltà nel produrre e nell’attrarre investimenti all’estero.
Si tratta questo di un risultato della ricerca dell’Istituto per il commercio estero (Ice) e del Politecnico di Milano “Italia Multinazionale 2006”, presentata ieri a Roma presso la sede dell’Istituto.
L’indagine studia l’internazionalizzazione delle imprese attraverso l’analisi degli investimenti diretti esteri in entrata (multinazionalizzazione passiva) e in uscita (multinazionalizzazione passiva) del nostro Paese.
Nel corso dell’incontro è intervenuto anche il Ministro per le Politiche europee e del Commercio Internazionale, Emma Bonino, affermando che «è necessario un orientamento diverso nella promozione e nel sostegno all’internazionalizzazione dell’Italia. Il mondo, gli investitori esteri hanno percepito un’Italia chiusa, protezionista, la cui economia non è ispirata al libero mercato, ma al dirigismo dello Stato. Ovviamente non è vero, ma questo è ciò che gli investitori internazionali hanno percepito. E, in economia, le percezioni valgono molto».
Risulta bassa per l’Italia anche la capacità di attrarre investimenti dall’estero. Per quanto riguarda l’attrattività, secondo Massimo Mamberti, direttore generale dell’Ice, il Made in Italy può rappresentare uno strumento per «rafforzare il nostro Paese nel circuito internazionale dei capitali, un’opportunità enorme per i Paesi emergenti, che hanno capitali ma non sono coperti nella produzione di fascia alta e non hanno marchi conosciuti, ma anche per i Paesi ricchi che possono acquisire o partecipare in imprese che hanno deciso ristrutturazione e strategie per elevare la qualità».
Ad ogni modo, dallo studio emerge, in anni recenti, una ripresa del numero di iniziative di internazionalizzazione, trainate principalmente dalle piccole e medie imprese, attive nei settori tradizionali del Made in Italy e dinamiche in Europa centro-orientale e in Asia.
Infine, secondo Umberto Vattani, presidente dell’Ice, «nel mondo nuovo che si sta delineando si compete per l’eccellenza e la leadership, se restiamo fuori rischiamo la marginalizzazione e il downgrading a periferia del mondo».