In Italia regna il precariato, non è una novità: esiste infatti un rapporto diretto tra difficoltà di accesso al credito e mancate assunzioni a tempo inteterminato. A confermarlo sono diversi studi, come la ricerca Financing Constraints and Fixed-term Employment Contracts (su un campione di oltre 10mila Pmi manifatturiere), che dimostra come le aziende con minori garanzie creditizie per ottenere fondi (vedi Pmi e microimprese) sono le meno propense a siglare contratti più stabili.
Il meccanismo è semplice: le oscillazioni del mercato (domanda e vendite) possono essere gestite meglio con contratti a progetto o a termine, in quanto la loro capacità di assorbimento dell’instabilità economica è maggiore.
Ecco perchè i contratti temporanei e il precariato sono destinati a crescere in Italia visto che gli incentivi alle assunzioni sono limitati e l’investimento necessario per valorizzare il capitale umano ottenuto attraverso un contratto a tempo indeterminato è insostenibile a causa della crisi.
Considerazioni del tutto ragionevoli, che tuttavia non tengono conto della produttività e della competitività a lungo termine. L’esperienza e la solidità della forza lavoro di un’azienda rimane ancora l’asset principale e, per quanto possibile dovrebbe essere mantenuta e protetta. Almeno in termini puramente teorici.
Pertanto – evidenziano i risultati dell’indagine – sarebbe necessario definire misure volte a ridurre i vincoli finanziari delle imprese. Questo non solo per dare un impulso all’economia di breve durata, ma per consentire alle aziende di tornare ad aumentare l’offerta di contratti a tempo indeterminato e a frenare il precariato.