Secondo le rilevazioni di Unimpresa il Decreto Lavoro (Dl 34/2014) del governo non porterà ad un aumento delle assunzioni in Italia. Ben il 60% delle 120mila imprese associate presenti su tutto il territorio nazionale, infatti, afferma di non avere in programma di assumere nuovi lavoratori a fronte del Jobs Act: in pratica, per 3 imprese su 5 il provvedimento non incentiverà occupazione.
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A frenare le imprese è soprattutto il tetto aziendale per i contratti a termine e l’abolizione del piano formativo individuale per l’apprendistato. Il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi:
“Le misure introdotte dell’esecutivo di Matteo Renzi sono certamente apprezzabili, ma riteniamo opportune alcune correzioni. Speriamo che ci sia il tempo, oltre che la volontà da parte della maggioranza parlamentare, di modificare il testo nel corso dell’iter parlamentare”.
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Secondo gli esperti dell’Associazione, la decisione di stabilire una percentuale massima di lavoratori con contratto a tempo determinato nelle aziende è in controtendenza con la strada delineata negli ultimi anni dal legislatore. In più per le micro e PMI il limite imposto significa dover ridurre al minimo le assunzioni di lavoratori temporanei e somministrati, mentre le parti sociali si vedono espropriati del proprio ruolo perché grandi scostamenti dal limite legale a opera dei contratti collettivi nazionali di lavoro diventano sempre più difficili.
“Quanto alle novità introdotte in materia di apprendistato, appare lodevole la motivazione, molto meno il risultato. Se partiamo dall’assunto che la vera attività formativa è il lavoro e non solo l’aula (e per certi versi potremmo sottoscrivere pienamente) non si vede però quale possa essere l’elemento distintivo di un contratto che vede invece nella componente formativa la sua specialità rispetto agli altri e in special modo rispetto all’atteso contratto di inserimento a tutele crescenti. La manovra prevede il venir meno del piano formativo individuale e la facoltà (ma non è molto chiaro chi possa esercitarla) di far svolgere o meno la formazione di base e trasversale prevista dalle regioni. Al di là dei profili che impattano le competenze costituzionali attribuite alle stesse regioni (con le quali dal 2003 l’apprendistato fa i conti) l’assenza di formazione codificata potrebbe far sorgere dubbi anche sulla legittimità di una contribuzione così ridotta da parte della Unione europea. Senza piano formativo individuale poi sarà quasi impossibile verificare la coerenza della formazione “informalmente ricevuta” coerenza che invece il legislatore espressamente richiede al fine della legittimità contrattuale”.
Le semplificazioni sono auspicabili sempre, “ma quelle che si trascinano in tasca il contenzioso proprio no”, conclude Unimpresa.