A differenza del resto d’Europa, solo in Italia avere una laurea conta meno di avere il diploma: lo dicono i dati del “Piano di azione per l’occupabilità dei giovani attraverso l’integrazione tra apprendimento e lavoro” (è il Piano di azione Italia 2020 presentato lo scorso settembre) consegnati ieri dai ministeri del Welfare, Maurizio Sacconi, e dell’Istruzione, Mariastella Gelmini a Regioni e parti sociali.
L’Italia è per assurdo l’unico stato europeo in cui un giovane laureato ha meno possibilità di trovare lavoro di un suo coetaneo diplomato.
In pratica, vorrebbe dire che per trovare lavoro in Italia è meglio fermarsi al diploma piuttosto che conseguire la laurea? Di fatto, la disoccupazione è maggiore tra i giovani laureati tra i 25 e i 34 anni (11,2%) piuttosto che tra i diplomati (8%).
Sono i diplomati degli istituti professionali e tecnici a trovare più facilmente lavoro e di questi, chi viene assunto a tre anni dal diploma, l’83% trova un posto a tempo pieno (rispetto al 50% dei liceali) con il 42% che guadagna più di mille euro.
Il Governo mira perciò a promuovere l’inserimento in aziende anche dei laureandi puntando sul rilancio della formazione professionale, dei tirocini nelle imprese e del contratto di apprendistato sia per diplomati che per studenti universitari: al momento, infatti, l’apprendistato non è quasi mai visto dalle aziende italiane come fase di formazione ma soltanto come un’economica e temporanea prestazione lavorativa.
Nel 2009 questi forme di contratto sono calati bruscamente, a riprova di non essere un volano per l’occupazione e di poggiare su una formula sterile: gli apprendisti sono stati 567.842 rispetto ai 645.986 del 2008 (-12%).
Per questo motivo, i due ministeri mirano a «sostenere e premiare le iniziative che le università vorranno intraprendere per sviluppare progetti di innovazione didattica che sappiano cogliere questa grande opportunità», con una «maggiore valorizzazione della componente della formazione aziendale».