L’Italia non rispetta le regole UE per il corretto inserimento professionale dei disabili, in modo particolare per qauanto riguarda le PMI con meno di 14 dipendenti.
La Corte di giustizia UE ha emesso una sentenza contro il nostro Paese (causa C-312), condannandolo a mettersi in regola con le misure in materia di diritto al lavoro, pena l’avvio di una nuova procedura di infrazione che si potrebbe concludere con pesanti sanzioni.
L’UE ha imposto agli Stati Membri il rispetto dell’obbligo per i datori di lavoro di adottare provvedimenti efficaci e pratici per consentire ai disabili l’avvio al lavoro, il suo svolgimento, la possibilità di avere una promozione o di ricevere una formazione, limitando incentivi e aiuti di Stato.
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Condanna UE
Il mancato rispetto dei principi UE per l’inserimento professionale dei disabili nel mondo del lavoro non sono state rispettate dall’Italia con particolare riferimento ad alcune categorie di portatori di handicap e alla mancata copertura di tutti i diversi aspetti del rapporto di lavoro.
«Peraltro l’attuazione dei provvedimenti legislativi italiani sarebbe affidata all’adozione di misure ulteriori da parte delle autorità locali o alla conclusione di apposite convenzioni tra queste e i datori di lavoro e pertanto non conferirebbe ai disabili diritti azionabili direttamente in giudizio», sottolinea Bruxelles.
In sostanza si tratta di misure parziali ed insufficienti, tanto che Italia solo il 16% dei portatori di handicap fra i 15 e i 74 anni ha un lavoro, contro il 49,9% del totale della popolazione secondo i dati forniti dalla Federazione italiana superamento handicap.
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Leggi italiane sotto accusa
Tra le misure previste dall’Unione per la tutela dei disabili, c’è la direttiva 200/78/Ce che prevede l’assunzione da parte delle imprese che occupano fino a 14 dipendenti di assumere disabili. In Italia invece queste aziende sono state esonerate dall’obbligo del collocamento obbligatorio, venendo meno all’art. 5 della direttiva sulla parità del lavoro dei disabili.
Due leggi italiane contestate dall’UE sono la legge n. 104/1992 (legge quadro handicap) e la legge n. 68/1999 (norme sul diritto al lavoro dei disabili).
In realtà la prima, la legge n. 68/1999, offre addirittura garanzie e agevolazioni superiori a quelle previste dalla direttiva UE, il problema è che però tali misure «non concernono tutti i disabili, non gravano su tutti i datori di lavoro e non riguardano neppure tutti i diversi aspetti del rapporto di lavoro».
Ad esempio la legge n. 104/1992 riguarda i soli disabili affetti da grave disabilità e in Italia viene rispettato quanto previsto dall’art. 5 della direttiva 200/78/Ce agli Stati Membri di imporre a tutti i datori di lavoro l’obbligo di adattare i luoghi di lavoro ai disabili, adattando le attrezzature, i riti di lavoro o la ripartizione dei compiti.
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Nozione di handicap
L’Italia si era giustificata denunciando la mancata definizione di nozione di «handicap» nella direttiva 200/78/Ce. La Corte ha però già dichiarato in passato che la nozione va «intesa nel senso che si riferisce a una limitazione risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori».