Le due facce dell’accordo sulla produttività: pro e contro

di Francesca Vinciarelli

Pubblicato 23 Novembre 2012
Aggiornato 30 Novembre 2012 09:05

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I contratti di lavoro si adeguano alle leggi di mercato: pro e contro dell'accordo sulla produttività che rafforza la contrattazione aziendale e incentiva la produttività, prendendo le distanze da scatti di anzianità e salari minimi.

Il nuovo accordo sulla produttività, nel cui ambito si inserisce la riforma dei contratti di lavoro, rappresenta un cambiamento quasi epocale, che comporterà per imprese e lavoratori diversi benefici a discapito di importanti rinunce.

Vediamo quali sono pro e contro sul piatto della bilancia.

=> Leggi i dettagli dell’Accordo sulla Produttività

Pro

L’accordo siglato dalle associazioni d’impresa e dai sindacati (esclusa la Cgil) va a rafforzare i contratti aziendali o di secondo livello, ai quali si permetterà di determinare la dinamica dei salari in deroga agli accordi collettivi nazionali.

Questo significa che le aziende avranno la possibilità di adattare le retribuzioni alle proprie esigenze superando gli automatismi (scatti),  legando gli incrementi al tasso di produttività del lavoratore e non più all’anzianità: anche se questo è un punto ancora tutto da vedere considerate le aspre polemiche che lo hanno accompagnato.

Un punto a favore sicuramente delle aziende, mentre per quanto riguarda i dipendenti è evidente che gli innegabili Pro sono insediati dai Contro, che analizzeremo più avanti.

=>Leggi la Guida alle Retribuzioni nei contratti aziendali

C’è poi un’ottima notizia: il Governo ha stanziato 2,1 miliardi di euro da destinare alla detassazione al 10% dei salari di produttività per dipendenti con reddito inferiore a 40mila euro annui. Dunque, meno tasse per i lavoratori, migliori performance per le aziende.

Il contratto territoriale agevolerà le piccole imprese, dove non esiste il sindacato.

Il contratto collettivo nazionale di lavoro sarà semplificato e dovrà «prevedere una chiara delega al secondo livello di contrattazione delle modalità che possono incidere positivamente sulla crescita della produttività», quindi su orari e organizzazione del lavoro. In altre parole le imprese potranno decidere orari, turni e mansioni dei dipendenti, anche se in contrasto con le leggi nazionali. L’obiettivo è sempre quello di tenere conto delle esigenze delle imprese rendendo i contratti di secondo livello più flessibili rispetto alle regole nazionali, ritenute dal Governo troppo rigide.

In questo ambito c’è da dire che il demansionamento non potrà essere unilaterale e che, in linea teorica, vuole essere un’alternativa al licenziamento per le imprese erano finora costrette per far fronte alla crisi in atto.

=>Consulta la normativa sul demansionamento oggi

Contro

Secondo Susanna Camusso della Cgil quello appena siglato non porta la sua firma perché è «un accordo deludente, che continua a scaricare il prezzo della crisi sulle spalle dei lavoratori». «Il contratto nazionale non tutelerà più il potere d’acquisto dei lavoratori» e per recuperarlo bisognerebbe detassare anche le tredicesime.

Fondamentalmente il rischio correlato al depotenziamento dei contratti nazionali, a favore degli accordi aziendali, è che venga abbassato il salario minimo, permettendo alle imprese di ridurre le retribuzioni a quei dipendenti che hanno un contratto di secondo livello.

Inoltre la dicitura contenuta nell’accordo nella quale si prevede che gli aumenti contrattuali debbano “tenere conto delle tendenze generali dell’economia, del mercato del lavoro, del contesto competitivo internazionale e dell’andamento specifico di ogni settore” potrebbe dar luogo, in determinate condizioni, ad un aumento non in linea con la crescita dei prezzi.

L’accordo, poi, apre la strada al demansionamento (finora vietato dal Codice Civile e dallo Statuto dei Lavoratori), oltre che alla videosorveglianza tramite telecamere in fabbrica e in ufficio, cosa che non piace alla Cgil per gli ovvi rischi di privacy violata.

Infine nell’accordo sulla produttività non viene specificato, come vorrebbe la Cgil, quando una organizzazione sindacale può e deve partecipare alle trattative per la firma del contratto aziendale.

=> Vai al capitolo Rappresentanza della Guida sui Contratti

Più in particolare la Cgil vorrebbe che venisse incluso nell’intesa l’accordo già siglato nel 2011 che prevede la possibilità per i sindacati che rappresentano almeno il 5% dei lavoratori di partecipare alle trattative aziendali.