Nonostante l’incertezza creata nei lavoratori italiani dalla riforma delle pensioni – evidenziata dal rapporto Censis “Promuovere la previdenza complementare come strumento efficace per una longevità serena” – il ricorso alla pensione integrativa è scarso.
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Riforma Pensioni e Lavoro hanno creato negli Italiani la convinzione di ricevere in vecchiaia un assegno previdenziale insufficiente e la preoccupazione di perdere il posto (quindi oltre alla contribuzione anche lo stipendio) non lascia pensare di avere sufficienti risorse per andare avanti, se non con l’aiuto di strumenti aggiuntivi.
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Strumenti che però quasi mai corrispondono alla previdenza complementare, come invece si sarebbe portati a pensare: da una parte perché non vi sono sufficienti informazioni in merito, dall’altra perché vi è la preoccupazione di non riuscire a sostenerla.
Il 19% di lavoratori teme di non riuscire a costruirsi fonti integrative di reddito quali la pensione complementare.
Il 41% dichiara di non poterselo permettere, il 28% non si fida, il 19% pensa che sia troppo presto per pensare alla pensione, il 9% preferisce lasciare il TFR in azienda.
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Gli Italiani dimostrano maggiore fiducia nel “fai da te”, che nel 70% dei casi corrisponde all’acquisto diretto di strumenti finanziari, ad investimenti immobiliari o a polizze assicurative.
La previdenza complementare viene scelta solo dal 16,5% dei lavoratori italiani e solo il 27% ne ha una conoscenza dettagliata, gli altri la conoscono poco o non la conoscono affatto. Perrcentuali piuttosto distanti da quanto previsto dal Governo, che vorrebbe individuare nella pensione integrativa il secondo pilastro del sistema previdenziale italiano, sottolinea il rapporto Censis.
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Quest’ultimo individua poi i canali informativi dei lavoratori in tema previdenziale: il 47% dei dipendenti pubblici ed il 36% di quelli privati si rivolgono ai sindati; gli autonomi si rivolgono agli assicuratori (23%) e alle banche (20%); per i dipendenti privati un importante punto di riferimento è rappresentato anche dai datori di lavoro (13%); non poteva poi mancare internet, consultato dal 15% dei lavoratori.