«Lo scenario economico attuale, più competitivo e difficile, richiede alle associazioni di dare risposte più forti e autorevoli, con livelli di servizio sempre più elevati e allineati alle nuove sfide che le imprese si trovano a vivere».
Questi i presupposti alla base della possibile fusione in un unico gruppo di oltre mille imprese, il 95% delle quali Pmi.
Si vota infatti domani per l’incorporazione dell’Associazione piccole imprese (Api) nell’Unione parmense degli industriali (Upi).
Non tutti sono d’accordo: se l’Upi assorbisse l’Api, sullo scenario di mercato si avrebbe «una nuova Confapi Parma rivolta a tutti quelli che non si riconosceranno in una fusione per incorporazione», ha dichiarato il presidente di Unionapi Emilia Romagna, Alfeo Carretti.
I dubbi riguardano soprattutto la tutela delle realtà più piccole, che versano quote associative molto basse, rispetto invece alle grandi imprese partecipanti.
E contro chi afferma che l’aggregazione darà maggior peso alle aziende associate nei confronti degli istituti di credito, Cerretti risponde che Confapi e Confindustria partecipano già a livello regionale partecipa a Fidindustria, sede in cui tre esponenti di Api e tre di Confindustria si occupano di tutelare le aziende sul fronte del credito bancario.