Dipendenti italiani: secondo lavoro in nero contro la crisi

di Francesca Vinciarelli

30 Marzo 2012 12:10

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Rapporto Eurispes L'Italia in nero: la ricetta anti-crisi dei dipendenti italiani? Una seconda occupazione "esentasse", altrimenti non si arriva a fine mese.

Il lavoro nero in Italia produce un sommerso pari al 35% del PIL ufficiale e ad alimentarlo è proprio la crisi economica, che spinge un lavoratore su tre a cercare un secondo impiego “esentasse”: lo rivela il rapporto Eurispes intitolato “L’Italia in nero” che evidenza come solo un terzo delle famiglie italiane riesce ad arrivare senza problemi a fine mese.

Una delle principali difficoltà per 500.000 famiglie riguarda il pagamento delle rate del mutuo, uscita mensile che si aggiunge alle bollette di luce, acqua e gas, per non parlare del caro carburante.

Addirittura secondo la ricerca «il ceto medio si trova a subire non più la sindrome della quarta settimana, ma quella della terza settimana».

La recessione, annunciata dal ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, va così di pari passo con l’aumento del lavoro nero e del ricorso al credito a consumo, concesso da banche e società finanziarie, che consente ad un italiano su quattro di arrivare alla fine del mese.

Il credito al consumo è cresciuto dal 2002 al 2011 del +100%, soprattutto al Sud e nelle isole (+105,5%  e +107,7% rispettivamente).

«Lo squilibrio fra entrate e uscite di cassa rileva la presenza di una ricchezza familiare “non dichiarata” in assenza della quale anche le spese di normale amministrazione risulterebbero pressoché insostenibili nel medio/lungo termine» spiega l’Eurispes. Così l’analisi delle diverse province italiane si nota un notevole spread  tra la qualità della vita i redditi dichiarati. I divari maggiori sono stati registrati nelle provincie di Catania, Ragusa, Sassari, Brindisi e Agrigento. Quasi nullo invece lo spread a Milano e a Roma.

Questa situazione drammatica spingerebbe i lavoratori a rifugiarsi ne lavoro nero. Non solo un secondo impiego, quindi, ma un’entrata netta pari in tutta Italia nel 2010 a circa 529 miliardi di euro e in crescita nel 2011: 540 miliardi di euro, che corrisponde al 35% del PIL ufficiale.

Puntano al lavoro nero tanto i dipendenti (35%), quanto i pensionati (uno su tre). Solo i dipendenti che hanno un doppio lavoro sono almeno 6 milioni per un totale di sommerso pari a 90,9 miliardi di euro.

Poi ovviamente c’è il mercato nero alimentato dagli immigrati clandestini, i quali generano un sommerso di 10,5 miliardi di euro. Ma non solo i clandestini, anche gli immigrati regolari lavorano in nero, per un totale di 12 miliardi di euro.

L’Italia è uno dei Paesi Ocse con la maggiore incidenza sul Pil dell’economia sommersa «siamo di fronte ad un sistema economico parallelo, non ufficiale, al quale si somma un’altra economia: quella criminale, il cui fatturato ha ormai superato i 200 miliardi di euro annui e i cui proventi vengono in parte riciclati all’interno dell’economia legale e in parte alimentano il sommerso stesso» evidenzia il rapporto Eurispes.

In quanto a lavoro nero l’Italia figura come maglia nera tra i Paesi Ocse, la percentuale di sommerso sul PIL è pari al 22%), fa peggio solo la Grecia (25%), contro una media Ocse, pari al 13,8%.

In totale, lavorando in nero, gli italiani evadono le tasse per un imponibile evaso totale di circa 270 miliardi di euro, il che significa che nelle tasche del Fisco entrano circa 100 miliardi in meno: più del deficit del bilancio pubblico.