Dopo tante polemiche, la riforma del mercato del lavoro sembra improvvisamente a portata di mano, con tanto di accordo anche sull’articolo 18: al termine dell’ultimo incontro fiume fra Governo, sigle confederali prima e rappresentanti d’impresa poi, le parti mantengono un sostanziale riserbo, limitandosi a dire che il dibattito si è riaperto ed è destinato a proseguire.
Ottimismo per l’accordo
Il Ministro Elsa Fornero è ottimista e ritiene «realizzabile»l’accordo «già la settimana prossima». E la segretaria della Cgil, Susanna Camusso, definisce «utile» l’incontro di oggi, sottolineando l’impegno a «costruire un sistema di tutele universali» e annunciando che ci sarà un altro incontro nei prossimi giorni.
Dunque, l’unica certezza è che fino ad ora nessuno ha abbandonato il tavolo. E, dopo l’improvvisa fiammata di tensione del 13 marzo («se uno comincia a dire no, perchè dovremmo mettere sul tavolo una paccata di miliardi?» aveva dichiarato il ministro Fornero), l’impressione è che forse ci sia stata almeno una schiarita visto che il ministro di accordo possibile la prossima settimana ha parlato in commissione Lavoro al Senato. E all’apertura della Cgil si uniscono anche Cisl e Uil, che ritengono a loro volta possibile l’accordo.
La posizione dei Sindacati
Sul fronte sindacale, il nodo principale da sciogliere è evidentemente l’articolo 18, argomento lasciato volutamente in fondo alla trattativa perchè quello su cui si rischiava di più la frattura. Sul dibattito di oggi non filtra molto. Le posizione che si conoscono vedono la Cgil disposta al massimo a concedere una maggior velocità dei processi di lavoro, mentre Cisl e Uil sono favorevoli a una manutenzione della norma in base al modello tedesco: reintegro solo per i licenziamenti discriminatori, mentre per gli altri licenziamenti individuali possibilità di indennizzo economico.
La posizione delle PMI
L’Esecutivo ha incontrato anche Confindustria e Rete Imprese Italia. Quest’ultima sigla, rappresentativa delle PMI, ha già espresso nelle ultime ore la propria contrarietà, in particolare sulle ipotesi di riforma dei contratti a termine, che diventerebbero più onerosi per le imprese, e anche sugli ammortizzatori sociali.
In genere, l’associazione che rappresenta le PMI ritiene che la riforma colpisca «pesantemente le aziende del terziario, dell’artigianato, del turismo e dell’impresa diffusa, che coprono il 54% del totale dell’occupazione nel settore privato» ovvero «gli unici settori che hanno garantito posti di lavoro durante la crisi» e «anche quelli che più verranno penalizzati dalla riforma del lavoro proposta dall’esecutivo».
Rete Imprese Italia stima che per pagare i nuovi ammortizzatori le PMI debbano mettere sul piatto 1,2 miliardi di euro, che significa più della metà del totale (si prevede che per la riforma degli ammortizzatori il governo debba reperire intorno ai due miliardi di euro).
L’aggravio sul costo del lavoro è calcolato nel 2%. «Se non ci saranno modifiche sostanziali, non firmeremo l’accordo» dice chiaro e tondo Marco Venturi, presidente dell’associazione.
La posizione più critica non sembra più, dunque, quella dei sindacati in materia di flessibilità in uscita ma proprio quella di Rete Imprese Italia per gli aggravi sui costi vivi per le PMI (aliquote contributive e contributo per ammortizzatori e nuovi fondi) .