Le aziende familiari sono fra quelle che maggiormente hanno accusato il colpo della crisi. Ma pur in un periodo di grandi difficoltà sono riuscite a difendere l’occupazione, e poi a rispondere meglio ai primi segnali di crescita. La sfida numero uno per il futuro si chiama complessità: per competere la classica struttura dell’azienda familiare ha bisogno di qualche cambiamento.
Sono i principali risultati dell’Osservatorio AUB su tutte le aziende familiari italiane di medie e grandi dimensioni, realizzato da Guido Corbetta, Alessandro Minichilli e Fabio Quarato, docenti di Strategia delle aziende familiari dell’Università Bocconi, in collaborazione con AIdAF (Associazione italiana delle aziende familiari), gruppo UniCredit e Camera di Commercio di Milano.
Sono state analizzate le imprese familiari italiane con fatturato superiore ai 50 milioni di euro, in tutto 3893 società, il 57,1% delle medio-grandi aziende italiane, che si riducono a 2423 eliminando le sovrapposizioni dovute agli intrecci proprietari.
Fra il 2007 e il 2009, quindi in piena crisi, le aziende familiari hanno incrementato il numero dei dipendenti del 12,1%. Un risultato decisamente migliore di quello di cooperative e consorzi, +3%, coalizioni, +2%, per non parlare dei risultati negativi delle multinazionali, -4,2%, delle aziende statali, -10%, e di quelle controllate dal private equity, -14,3%.
Nel 2010 il numero totale delle aziende familiari in Italia si è ridotto di 328 unità. Le flessioni maggiori in Toscana, Friuli Venezia Giulia, Umbria e Abruzzo, mentre in controtendenza hanno visto aumentare il numero di imprese Lazio, Puglia, Sicilia e Trentino Alto Adige.
Sul fronte delle performance reddituali, invece, la palma d’oro va a Lombardia, Veneto, Liguria, Toscana, Lazio, Abruzzo e Campania.
Come detto, dopo aver accusato la crisi, le aziende familiari hanno prontamente risposto ai segnali di ripresa. Nel 2010 hanno registrato in media una crescita del 7%. E’ migliorata, rispetto agli anni precedenti, anche la redditività, i cui valori restano però ancora inferiori a quelli pre-crisi: il Roi (return on investments) nel 2010 è aumentato al 7,2% dal precedente 6%, ma è ancora lontano dal 9,8% del 2007. Il Roe, return on equity, è salito al 6,7% dal precedente 4,3%, ma nel 2007 era al 10,7%.
Il punto che resta maggiormente critico è quello dell’indebitamento. Oltre la metà delle aziende considerate dall’indagine denuncia un rapporto fra posizione finanziaria netta ed Ebitda (margine operativo lordo) superiore alla soglia di allarme di 4, mediamente intorno a quota 6,4.
Ci sono però dati positivi sul fronte della liquidità in eccedenza rispetto ai debiti finanziari, con il 19,4% delle aziende dal 16,3% del 2008, e calano le imprese con margini (in termini di Ebitda) negativi, il 4,1% del totale.
Se questo è lo “stato dell’arte”, la sfida numero uno per il futuro di chiama complessità, sottolinea Guido Corbetta: «Le imprese familiari tendono a mantenere strutture proprietarie e gestionali piuttosto semplici, forti dei buoni risultati che queste conseguono», ma «quando la strategia si fa più complessa, anche la struttura deve diventare più complessa rendendo necessari innesti manageriali dall’esterno, che tuttavia occorre imparare a saper gestire con equilibrio».
Alessandro Spada, presidente di Innovhub SSI, azienda speciale della Camera di Commercio di Milano, sottolinea «la rilevanza del modello di impresa familiare per lo sviluppo economico del nostro territorio», e ritiene che si tratti di un elemento «da valorizzare in questo periodo di forti difficoltà, per un rilancio ed una ripresa costruite sulle risorse umane e sulla forza della struttura familiare».
Infine Gioacchino Attanzio, direttore generale AIdAF, e Marco Gabbiani, responsabile Family Business di UniCredit, sottolineano entrambi l’attendibilità dei dati e la fotografia rigorosa che offre l’Osservatorio AUB.