Aprire un’azienda in Italia? Missione quasi impossibile. Almeno stando ai dati del Rapporto annuale Doing Business, redatto dalla Banca mondiale e presentato in questi giorni. La classifica vede l’Italia piazzarsi solo al 65° posto su 181 Paesi, sempre saldamente ancorata sul fondo dei Paesi industriali, quasi tutti nei primi 30.
All’interno dell’Ocse, superiamo solo la Repubblica Ceca e la Grecia. Fra le altre potenze del G-7, solo la Francia fa peggio e si colloca al 31° posto. Ci surclassano Turchia, Perù e Giamaica, mentre si avvicina il Kirgizistan, vicinissimo alla nostra posizione.
I dati del Rapporto Doing Business sono ricavati sulla base di dieci indicatori precisi, fattori “chiave” per chi vuole aprire e gestire un’impresa: tempi e costi di apertura o chiusura di una società, la flessibilità del lavoro, l’accesso al credito, il pagamento delle tasse, la burocrazia per gli scambi con l’estero, l’efficienza della giustizia civile.
Esclusi altri fattori importanti come stabilità macroeconomica, sicurezza, corruzione che giocano di sicuro un ruolo importante nella creazione di business.
L’arretramento dell’Italia, secondo gli analisti della Banca mondiale, è dovuto a una minore rapidità nel fare progressi e a ragioni tecniche, a cui si è tentato di ovviare con la semplificazione delle procedure di registrazione di un’azienda mediante l’applicazione di un singolo procedimento elettronico e la riduzione delle imposte sul reddito delle società.
Due punti a favore che però, secondo il Rapporto, non cancellano il vero problema dell’Italia: la diminuzione della flessibilità del lavoro, aggravata da procedure di licenziamento ingessate.
Altre due zavorre sono la lentezza della giustizia civile, dove l’Italia si piazza addirittura al 156esimo posto sui 181 Paesi e il pagamento delle tasse, le più alte fra i Paesi industriali. C’è una categoria in cui l’Italia primeggia? Purtroppo sì, la facilità con cui si può chiudere un’azienda.