Le medie imprese prosperano più delle grandi grazie a Made in Italy, specializzazione e flessibilità.
Ad evidenziare questa tendenza è il rapporto di uno studio di Unioncamere e Mediobanca, presentato ieri alla Camera di Commercio di Forlì. L’indagine è stata condotta su un campione di 1.445 medie imprese manifatturiere del Nord Est e interessa un periodo che va dal 1996 al 2006, basandosi sull’analisi dei bilanci e su interviste dirette. I risultati parlano chiaro: le medie imprese (50-500 dipendenti) hanno incrementato il valore aggiunto del 36,3%, superando nettamente il +11,9% delle grandi imprese. Le Medie si dimostrano anche finanziariamente più solide e con una maggiore propensione all’export.
Alla base di questo successo, i ricercatori indicano principalmente 3 fattori. Il primo è il Made in Italy: i suoi settori si rivelano i più redditizi per le medie imprese, il cui fatturato è per il 67% derivante da esso, contro il 60% della media nazionale. Stesso discorso per le esportazioni, che devono al Made in Italy il 73% del fatturato, anche qui superiore alla media delle altre imprese del nostro Paese (60%). L’Italia è scelta anche come base privilegiata per la produzione, se è vero che l’82% del campione vanta l’intera produzione localizzata entro i confini nazionali, mentre solo l’8,7% ha attività all’estero, seppur limitate a rapporti di subfornitura. Del resto, il vantaggio competitivo dei prodotti delle medie imprese è costituito da prodotti di alta qualità, che richiedono quindi manodopera qualificata.
Non a caso è proprio l’alta specializzazione un altro dei fattori decisivi: un terzo delle imprese analizzate risiede in distretti industriali e per alcune di loro il prodotto principale rappresenta quasi il 100% del fatturato. Operare in nicchie di mercato consentirebbe infatti di ottenere una maggiore protezione dalle turbolenze economiche, ma per riuscire con successo è necessario non crescere troppo. Il terzo vantaggio di cui godono le medie imprese è appunto la loro dimensione, che le rende più flessibili e reattive ai cambiamenti ambientali. I dati dimostrano che dal 1996 al 2003 ben 163 imprese oggetto d’indagine sono cresciute fino a diventare ‘grandi’, ma solo 3 anni dopo il 6,3% di loro era fallito e il 64,8% era stato assorbito da grandi gruppi italiani o stranieri. Solamente il 28,9%, quindi, è tutt’ora in attività.