Nonostante anni non facili come il 2004 e il 2005, e una pressione fiscale più alta rispetto a quella che colpisce le grandi imprese, le medie imprese italiane, fotografate da Mediobanca e Unioncamere nell’annuale rapporto presentato a Milano questa settimana, sono spesso più efficienti e redditizie delle big.
Se nel 1996 – primo anno delle rilevazioni – l’indice del fatturato era 100, la stima del 2006 parla di 165,9, un dato superiore anche se non di molto rispetto a quello dei gruppi maggiori. Molto più ampio è il divario fra 150,5 del valore aggiunto delle medie aziende e il 104,8 sviluppato dalle grandi imprese.
Tutto questo nonostante le 3.984 imprese che nel 2005 affollavano la categoria debbano sopportare una tassazione del 46,6% contro il 35,9 dei gruppi medio-grandi, il 33,1 dei maggiori gruppi italiani e il 37,7 delle filiali tricolori delle multinazionali straniere.
Nonostante questo il 60,4% di esse viene indicato come azienda solida dal modello di scoring di Unioncamere, il 36,1% è nella fascia intermedia e solo il 3,5% si merita la qualifica di “problematica”. Dati abbastanza differenti rispetto a quelli del totale delle Pmi italiane, che sono solide nel 38,5% dei casi, intermedie per il 45,4% e problematiche per il 16,1%.
Distribuite nel 50% dei casi lungo l’asse Torino-Venezia, le medie imprese scendono lungo l’Adriatico da una parte per arrivare fino a Bari, mentre dall’altra si concentrano attorno a Roma e Napoli e Salerno. Con una dimensione media di 144 dipendenti, sviluppano fatturati fra 13 e 250 milioni di euro.
Il loro numero è in crescita visto che dal 1999 al 2005 sono aumentate di 609 unità. In questi sette anni 1.225 piccole imprese hanno fatto il salto di categoria ingrossando le file del gruppo che in uscita ha perso 33 aziende che hanno acquisito la qualifica di medio-grandi.
L’attività prevalente riguarda i settori tipici del made in Italy. In genere le troviamo nel settore meccanico, in quello beni per le persona e la casa, alimentare, chimico, siderurgico, carta editoria e altri. Molto scarsa è la presenza nei settori high tech. L’alta tecnologia copre infatti solo il 4% del fatturato contro l’11% delle grandi imprese.