Il metodo di calcolo delle pensioni di reversibilità non ha subito modifiche rispetto a quanto disciplinato dalla legge numero 335 dell’8 agosto 1995: per determinarne l’importo si continua a tenere conto unicamente dei redditi assoggettabili all’IRPEF. Lo chiarisce l’INPS con riferimento ad alcune notizie di stampa diffuse in questi giorni in merito ad ipotetici cambiamenti introdotti con la circolare n.195 del 30 novembre 2015 sui redditi da dichiarare per il calcolo delle pensioni di reversibilità.
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In realtà, sottolinea l’Istituto, nella circolare n. 195/2015 è presente un refuso generalizzato nell’allegato 1, contenente le tipologie reddituali influenti sulle diverse rilevanze, fra cui anche la rilevanza 11 – Incumulabilità della pensione ai superstiti con i redditi, di cui all’art.1, comma 41, L. n. 335/1995.
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In una nota stampa dell’INPS si legge però che:
“Diversamente da quanto scritto nel testo, non sono considerati ai fini del calcolo sia gli interessi bancari, postali, dei Bot, dei Cct e dei titoli di Stato, proventi di quote di investimento, soggetti a ritenuta d’acconto alla fonte a titolo d’imposta o a imposta sostitutiva dell’IRPEF, sia gli arretrati di lavoro dipendente prestato in Italia e all’estero”.
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Nonostante il refuso, l’Istituto tiene quindi a precisare che le procedure informatiche sono adeguate alla normativa vigente, nessuna riduzione è stata operata sulle pensioni ai superstiti e che la stessa circolare n. 195/2015 specifica chiaramente alla rilevanza 11 che, ai fini del calcolo della pensione di reversibilità, si tiene conto unicamente dei redditi assoggettabili ad IRPEF.
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