Wiki, blog, social network. I pilastri su cui poggia il fantomatico Web 2.0 sono diventati in fretta strumenti necessari alle imprese per gestire la comunicazione, la conoscenza e le relazioni, sia interne che esterne.
Tuttavia il dibattito è ancora aperto sulle modalità di implementazione di queste nuove tecnologie all’interno delle aziende e sui risultati effettivamente conseguibili. Un palconescenico piuttosto infuocato è stata Boston, che ieri ha ospitato la conferenza dall’esplicativo titolo “Enterprise 2.0”, dove gli esperti hanno esposto le relative opinioni.
A catalizzare l’attenzione è stato il confronto tra Andrew McAfee, docente di Harvard e inventore del termine “impresa 2.0”, e Tom Davenport, suo esimio collega che ritiene inutile dare una definizione al fenomeno, a suo avviso tutt’altro che rivoluzionario.
La voce più interessante non è però giunta dal mondo accademico, bensì dalla più concreta realtà imprenditoriale. Williams Buhse, direttore della softwarehouse tedesca CoreMedia, ha esposto il mirabile esempio della sua impresa, che sta tentando con successo di diventare “2.0”.
Il segreto, secondo Buhse, non è soltanto nelle nuove tecnologie, ma nello sviluppo di una nuvoa cultura aziendale. È che i blog e wiki offrono un enorme potere ai dipendenti, consentendogli di comunicare e intessere relazioni, ma una loro semplice adozione non è sufficiente.
Un vero cambiamento può essere ottenuto solo spingendo attivamente i propri dipendenti a condividere le proprie idee liberamente, che riguardino questioni di lavoro o semplici pettegolezzi su colleghi e dirigenti. E questo vale tanto più per le PMI, considerando anche che l’azienda di Buhse conta solo 150 dipendenti.
Offrire loro uno spazio “ufficiale” su cui parlare in modo informale, porta vantaggi enormi all’impresa, che è così in grado di cogliere malumori, suggerimenti e iniziative che altrimenti resterebbero chiacchiere inascoltate. «Preferisco avere un commento negativo sul mio blog» dice Bushe «piuttosto che lasciare che i dipendenti parlino di noi a nostra insaputa».