Quali sono gli adempimenti per un dipendente segnalato dal medico competente come “lavoratore fragile” e quindi esonerato momentaneamente dal lavoro? Dovrà recarsi dal proprio medico curante e farsi certificare la “malattia”? E se il medico non vuole emettere tale certificato come si dovrà comportare il datore di lavoro?
Innanzitutto, la situazione di fragilità deve essere certificata dal medico competente a seguito di verifica preventiva o richiesta specifica (anche da parte del lavoratore), con obblighi informativi da parte dell’azienda sulle misure preventive adottate e sugli orari e le mansioni svolte dal soggetto. Non ci sono margini di discrezionalità per nessuna delle parti (lavoratore, azienda, medico).
Secondo la Circolare del Ministero della Salute del 29 aprile scorso, il medico competente (art. 41, comma 6), sulla base delle risultanze delle visite mediche, esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:
- idoneità;
- idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
- inidoneità temporanea;
- inidoneità permanente.
=> Covid e Lavoro: istruzioni per il medico competente
In generale, le regole da seguire sono contenute nel Protocollo condiviso fra Governo, imprese e sindacati firmato il 14 marzo e integrato il 24 aprile scorso. E ci sono ulteriori indicazioni nella Circolare del Ministero della Salute e del Lavoro del 4 settembre scorso, in base alla quale il lavoratore ha diritto di richiedere al datore di lavoro adeguate misure di sorveglianza sanitaria in presenza di determinate patologie.
Molto in sintesi: in casi di fragilità sono previste misure di sicurezza aggiuntive, nel totale rispetto della privacy del lavoratore. Che deve riferire al medico di eventuali patologie che lo rendono maggiormente a rischio contagio. Contestualmente, il datore di lavoro deve fornire al medico «una dettagliata descrizione della mansione svolta dal lavoratore o dalla lavoratrice,» della postazione di lavoro, le integrazioni sul documento di valutazione del rischio con particolare riferimento alle misure anti Covid.
A questo punto, il medico esprime una valutazione. Che non necessariamente, come nel caso da lei prospettato, prevede che il lavoratore si metta in malattia (che invece scatta subito nei casi di quarantena)
La verifica di eventuale non idoneità (che deve comunque essere periodica) è fornita sulla base di un insieme di fattori: età, comorbilità (tra rischio di contagio e patologie preesistenti), condizioni di lavoro che non consentono alternative.
Il medico, si legge nella circolare ministeriale di settembre, «esprimerà il giudizio di idoneità fornendo, in via prioritaria, indicazioni per l’adozione di soluzioni maggiormente cautelative per la salute del lavoratore», ma riserverà «il giudizio di non idoneità temporanea solo ai casi che non consentano soluzioni alternative». Come, ad esempio, lo smart working. Resta ferma la necessità di ripetere periodicamente la visita.
Nel momento in cui il lavoratore risultasse temporaneamente non idoneo a svolgere le mansioni ordinarie (neppure in smart working o con diverse modalità operative), sarà l’azienda a dover provvedere al corretto trattamento a tutela del lavoratore. Se possibile assegnandolo a mansioni equivalenti (o inferiori) garantendo la retribuzione corrispondente alle mansioni di provenienza. Se neppure questa strada è percorribile può scattare la malattia.
N.B. Questi aspetti sono spesso legati agli specifici contratti di lavoro, che meglio contestualizzano e interpretano specifici contesti lavorativi e scenari di rischio, fatti salvi i diritti di tutela di qualunque lavoratore.
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Chiedi all'espertoRisposta di Barbara Weisz