Sono dipendente a tempo indeterminato presso una piccola società privata, alla quale vorrei chiedere un contratto in telelavoro.
Non ho esigenze familiari ma la mia abitazione si trova a quasi due ore di distanza dall’ufficio.
La mansione che svolgo è gestibile in remoto, lo conferma il fatto che in passato, in via del tutto eccezionale, mi è stato concesso di lavorare una settimana da casa.
Vorrei pertanto sapere se ho possibilità concrete per avanzare questa proposta al mio datore.
Nel nostro ordinamento giuridico, e più specificatamente nel ramo del diritto del lavoro, non esiste un diritto unilaterale del lavoratore di svolgere le mansioni dedotte nel contratto d’assunzione nella propria abitazione, a meno che una clausola simile non sia presente negli accordi originari. Nell’ipotesi proposta, anche sulla base della precedente esperienza (ha già lavorato eccezionalmente una settimana da casa), sarà certo possibile chiedere al datore di lavoro di valutare questa diversa modalità di svolgimento dell’attività.
Poiché il rifiuto aziendale sarebbe assolutamente legittimo, suggerisco di valutare una contropartita che invogli il datore di lavoro ad accettare. La cospicua perdita di tempo e denaro che oggi sostiene per i continui spostamenti, o parte di essa, si trasformerebbe automaticamente in maggiore guadagno nel caso di accoglimento della sua richiesta; potrebbe dunque divenire la base per uno scambio reciproco. Come?
Ad esempio accettando una diminuzione del superminimo o di elementi accessori della paga (se esistenti), oppure riducendo l’impegno lavorativo settimanale (se sostenibile in base alla mole di lavoro). Nessun datore di lavoro, sulla base della mia esperienza, rinuncia a priori e senza riflettere attentamente sulla possibilità di ridurre il costo del lavoro.
Michele Bolpagni – Consulente del Lavoro
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