Non è certo un quadro esaltante quello dipinto dal presidente ISTAT Enrico Giovannini al convegno Confindustria “Giovani, guardare lontano per vedere oltre”: sono 2,1 milioni i giovani qualificati under-29 che restano senza lavoro pur desiderosi di offrire le proprie competenze al mercato, a beneficio dell’economia. L’aspetto più grave è che questa condizione si sta radicalizzando: non rappresenta più un semplice periodo di passaggio.
Scenario
Il simbolo meno interessa non solo i giovanissimi ma anche lavoratori dipendenti, liberi professionisti e giovani imprenditori. La crisi ha infatti ridotto la creazione d’impresa e, se nel 2000 le ditte individuali con titolare under-40 erano i 2/5 del totale, nel 2009 già erano meno di 1/3.
Non solo: non bisogna dimenticare i casi diffusi in cui, pur avendo un lavoro stabile, i lavoratori versano in condizioni di disagio. In Italia infatti il fenomeno del sotto-inquadramento (demansionamento rispetto alla propria qualifica o titolo) è aumentato fino a passare dal 15,4% del 2004 al 21,1% del 2010.
Sempre nel 2010, poi, la Neet generation (Not in Education, Employment, or Training – giovani che non lavorano nè frequentano corsi di istruzione o formazione) interessa il 22,1% della popolazione, con un balzo in avanti rispetto al 17,8% di due anni prima.
Alla luce dei dati ISTAT, dunque, emerge chiaramente come la crisi abbia ricondotto i livelli di occupazione ai valori del 2000, cancellando in un sol colpo quasi un decennio di progressi e miglioramenti.
La disoccupazione giovanile non è solo un fenomeno italiano, visto che tra il 1985 e il 2009 il tasso di 19 Paesi europei è stato costantemente superiore a quello di USA, Ocse e Giappone: dal 2008 è cresciuta ininterrottamente a tassi doppi (+5%) rispetto a quella adulta, determinando le punte massime da qui agli ultimi 25 anni.
Le cause del fenomeno sono molteplici e complesse. Tra queste, una carenza endemica di opportunità e il blocco dell’ascensore sociale che però, negli ultimi anni, stanno sortendo un effetto addirittura: la rassegnazione. Questo sentimento è duplice, percepito sia nei confronti dell ‘ ambiente, rispetto al quale ciascuno singolarmente può fare ben poco, sia nei propri confronti e della propria condizione che si ritiene oramai irreversibile.
Proposte
Ma la situazione è davvero tanto negativa, e la tendenza non più recuperabile? Secondo i giovani di Confindustria ci sono delle possibilità per invertire la rotta, e molte proposte utili sono state suggerite al Governo durante la relazione del nuovo presidente dei Giovani Imprenditori Jacopo Morelli al convegno di Santa Margherita Ligure.
Riforma delle pensioni
La prima riguarda la riforma delle pensioni: è necessaria una revisione del sistema che consenta di ridurre le tasse per i giovani. Questo a partire dalla equiparazione uomo-donna e l’innalzamento della soglia della pensiona a 70 anni sul modello degli altri Paesi europei, fatti salvi i lavori usuranti.
Secondo Morelli, il sistema pensionistico, pur essendo in equilibrio, scarica sui giovani costi troppo elevati, mentre gli oneri per i nuovi entranti dovrebbero essere ridotti: il problema dell’Italia è che solo il 62% della popolazione in età compresa tra i 55 e i 59 anni lavora, contro una media Ocse del 78%. Dunque gli incentivi alla pensione sono troppo alti, a dispetto di un cuneo fiscale (ovvero la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quanto incassato effettivamente dal lavoratore, escluso l’importo versato al fisco e agli enti di previdenza sociale) troppo elevato per chi accede al mondo del lavoro.
Regime fiscale agevolato
L’altra proposta riguarda la riduzione delle tasse per i giovani: chi accede al mondo del lavoro dovrebbe essere tutelato maggiormente, altrimenti la conseguenza è quello che si sta verificando con la riduzione dei salari reali di inserimento, alla quale non fa da contraltare una rapida carriera. Secondo la Banca d’Italia, infatti, un neolaureato percepisce uno stipendio pari all’80% della media dei laureati, mentre nei paesi dell’Ocse la retribuzione sale al 90%, e in Inghilterra al 96%.
L’altro asse portante è la riduzione dell’IRAP per le nuove imprese, l’imposta regionale sulle attività produttive che grava su aziende e professionisti finanziando le Regioni. Le nuove imprese sono proprio quelle che creano occupazione, ragion per cui non vanno ostacolate ma agevolate, anche fiscalmente.
No al precariato a vita
L’ultimo suggerimento, avanzato anche dal Sindaco di Firenze Matteo Renzi, è l’abolizione del valore legale dei titoli di studio, passando invece a valorizzare il merito e le capacità dei giovani lavoratori.
Quel che chiedono i giovani, al di là di riduzioni di tasse e sgravi alle imprese che assumono, è un piano serio che riesca a farli uscire dall’apatia e dall’accettazione; un progetto ampio che riesca a mettere in campo misure immediatamente efficaci per rilanciare il lavoro, che significa speranza, autonomia, realizzazione e possibilità di progettare la propria vita.
Serve anche, con buona pace degli imprenditori, ridurre i contratti di lavoro a tempo, oggi troppo appetibili per le imprese perché molto convenienti rispetto a quelli a tempo indeterminato.
Il punto non è l’esaltazione del posto fisso, ma la possibilità che ciò che oggi ha una scadenza possa diventare stabile. Oggi nel nostro Paese solo il 22% dei precari viene stabilizzato nel corso dell’anno successivo, con una media gravemente più bassa rispetto a quella dell’Europa, proprio perché alle imprese non conviene assumere.
Una delle soluzioni potrebbe essere quella prospettata da Morelli, vale a dire abbattere il cuneo fiscale così da consentire alle imprese di assumere senza farsi carico di oneri eccessivi, o ridurre gli oneri contributivi, riducendo al tempo stesso i costi delle imprese che li sostengono, ma è necessario intervenire, e bisogna farlo al più presto.