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Jobs Act: contratto indeterminato più economico del 10%

di Barbara Weisz

Pubblicato 16 Aprile 2014
Aggiornato 23 Agosto 2015 11:26

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Semplificare il contratto a termine ma compensare i maggiori vincoli previsti dal tempo indeterminato con una convenienza economica del 10%: i piani del Governo.

Il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha fornito nuovi elementi che chiariscono gli obiettivi del Jobs Act in materia di nuovi contratti, ossia fornire all’impresa due diversi strumenti alternativi per l’ingresso di dipendenti:

  • uno con pochi vincoli, a termine ma più costoso;
  • uno con più vincoli, a tempo indeterminato e tutele crescenti, senza protezione da articolo 18 per tre anni, che dovrà costare il 10% in meno del determinato.

Contratti

Se l’iter legislativo del Ddl delega terminerà come previsto entro fine anno, i nuovi contratti potranno essere operativi dalla metà del 2015. Poletti conferma la volontà dell’Esecutivo di «rivoluzionare tutto l’impianto» dei contratti di lavoro, attraverso una «drastica riduzione del numero di contratti». L’importante è che i due più importanti, a termine e indeterminato, siano in equilibrio dal punto di vista dei costi:

«l’imprenditore deve potere e dover scegliere o il tempo indeterminato perché gli conviene o il termine perché lo lascia più libero».

Costi

Al momento l’equilibrio di costi non è ritenuto corretto, per quanto il contratto a termine sia già più oneroso di quello a tempo indeterminato a causa dell’1,4% di contribuzione Aspi in più a carico delle aziende. A quanto pare, il “guadagno” dell’indeterminato non però sufficiente a garantire ai datori di lavoro un’opzione appetibile. In pratica, il gioco non vale la candela.

Contratto a termine

Dunque, il governo mira a bilanciare meglio le due alternative contrattuali agli occhi delle aziende:

  • da una parte il governo ha corretto l’impostazione della legge Fornero togliendo una serie di paletti sul contratto a termine (riportando a 36 mesi la possibilità di stipularli senza causale)
  • dall’altra con le nuove regole sul contratto a termine (contenute nel Dl 34/2014, in vigore dallo scorso 21 marzo e in corso di conversione in legge, con i relativi emendamenti).

=> Il nuovo tempo determinato, pro e contro

Contratto Unico

Il ddl di riforma del lavoro che il governo ha presentato alle Camere prevede cinque deleghe, fra le quali quella sui nuovi contratti. Sarà quello il provvedimento con il quale verrà messo a punto il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Le dichiarazioni di Poletti indicano che questo contratto costerà circa il 10% in meno di quello a tempo determinato. Tutto il resto, al momento non è chiaro: quali forme contrattuali attualmente previste sono destinate a sparire in nome della semplificazione? Cosa succederà dei contratti a progetto? Resterà, e in che forma, il contratto di apprendistato? Quali saranno le differenze fra il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, e quello attuale?

Bisogna attendere l’iter legislativo del ddl lavoro prima e dei decreto applicativi poi: il governo ha sei mesi per ogni delega dall’approvazione del ddl, per questo Poletti dice che se il ddl sarà approvato entro fine anno, la riforma potrà essere operativa da metà 2015. In teoria, se il Parlamento facesse più in fretta ad approvare la delega, anche l’attuazione potrebbe essere velocizzata.

Apprendistato

E’ una delle forme contrattuali su cui la legislazione è maggiormente intervenuta negli ultimi anni: prima il testo Unico del 2011 (Dlgs 167/2011), poi le modifiche apportate con la riforma Fornero (92/2012), e ora gli ulteriori cambiamenti del Dl 34/2014, primo atto del jobs act.

=> Jobs Act, i dubbi sulla riforma dell’apprendistato

Fino ad ora, secondo l’ultimo monitoraggio di Isfol, Inps e ministero del Lavoro, è stato un flop: nel 2012 i contratti di questo tipo sono diminiuti del 4,6% rispetto al 2011. In calo anche le nuove assunzioni, -5,4%. Dal 2008 al 212 sono stati persi 175mila posti di lavoro in apprendistato. Il tutto, è bene sottolinearlo, dipende anche da una crisi economica che, proprio negli ultimi anni, ha visto una perdita generale di posti di lavoro.