Introdurre nuovi attestati riconosciuti sul mercato del lavoro a livello europeo per favorire l’occupazione fornendo nuovi strumenti a chi cerca un impiego: a questo servirà il nuovo Sistema Nazionale di Certificazione delle Competenze definito dal DL in vigore dal 2 marzo (pubblicato il 15 febbraio in Gazzetta Ufficiale).
Il provvedimento attua disposizioni previste dalla Riforma del Lavoro, definendo i criteri per individuare e certificare competenze – diverse dai classici titoli di studio o professionali – acquisite nella vita lavorativa ma anche privata, da spendere sul mercato del lavoro anche in Europa.
Non mancano le critiche: Confindustria e Cgil, pur con diversi punti di vista, sono scettici sull’eccessiva burocratizzazione dell’iter previsto per certificare le competenze.
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le competenze
Il Dlgs 13/2012 introduce un sistema nazionale di certificazione delle competenze, in attuazione dei commi da 51 a 61 e da 64 a 68 dell’articolo 4 della legge 92/2012 (Riforma del Lavoro).
Le competenze in questione riguardano la: «comprovata capacità di utilizzare, in situazioni di lavoro, di studio o nello sviluppo professionale e personale, un insieme strutturato di conoscenze e di abilità acquisite nei contesti di apprendimento formale, non formale o informale».
Queste competenze come si possono certificare? Tramite “apprendimento permanente“, ossia tramite «qualsiasi attività intrapresa dalle persone in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale».
- Apprendimento formale – si attua nel sistema di istruzione e nelle università e si conclude con un titolo di studio, una qualifica, un diploma professionale (conseguiti anche in apprendistato).
- Apprendimento non formale – caratterizzato da una scelta intenzionale della persona, che si realizza al di fuori dei percorsi scolastici, in ogni organismo che persegua scopi educativi e formativi, anche del volontariato, del servizio civile nazionale, del privato sociale e nelle imprese.
- Apprendimento informale, «anche a prescindere da una scelta intenzionale, si realizza nello svolgimento, da parte di ogni persona, di attività nelle situazioni di vita quotidiana e nelle interazioni che in essa hanno luogo, nell’ambito del contesto di lavoro, familiare e del tempo libero».
Obiettivo: «promuovere la crescita e la valorizzazione del patrimonio culturale e professionale acquisito dalla persona nella sua storia di vita, di studio e di lavoro, garantendone il riconoscimento, la trasparenza e la spendibilità».
Le certificazioni
Viene istituito un «repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali» riconosciuto a livello europeo, accessibile e consultabile per via telematica. Le competenze sono individuate e validate da un “ente titolato“, pubblico (amministrazione centrale o locale) o privato (camere di commercio). Sono enti titolati, naturalmente, le scuole e le università, pubbliche e private.
A rivolgersi all’ente titolato è la persona stessa che intende ricevere la certificazione e, al termine di un percorso, ottiene il rilascio di un documento di certificazione della competenza che costituisce un atto pubblico.
Questo “sistema nazionale di certificazione delle competenze” si fonda su un meccanismo di indicatori, strumenti e standard di qualità: sul rispetto di livelli di servizio e dei prinicpi di terzietà e indipendenza vigila un comitato tecnico nazionale, presieduto da rappresentanti dei Ministeri dell’Istruzione e del Lavoro e comosto da altri rappresentanti ministeriali e delle amministrazioni locali.
Il comitato si forma entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto, quindi entro inizio aprile, e definisce gli standard minimi (di servizio, di processo, di attestazione e di sistema) del sistema nazionale di certificazione. I componenti non sono remunerati e non percepiscono indennità o rimborsi spese.
E’ previsto che la fase di implementazione di questo sistema duri 18 mesi.
Reazioni e critiche
Le critiche arrivano in particolare dal mondo del lavoro. Sia per le imprese sia per i sindacati, la certificazione delle competenze è troppo burocratizzata e c’è un’eccessiva presenza del settore pubblico nel meccanismo.
Claudio Gentili, direttore dell’area educational di Confindustria, ritiene che il sistema (un libro dei sogni) non decollerà. Il principale punto debole: si affida troppo la valutazione agli enti pubblici, mentre andrebbero maggiormente coinvolte le parti sociali, imprese in primis.
Fabrizio Dacrema, dipartimento formazione Cgil, apprezza l’istituzione del repertorio nazionale delle competenze ma contesta il fatto che il comitato tecnico, che definisce gli standard minimi, sia esclusivamente pubblico.
Si può sottolineare che in effetti la legge fa riferimento alle parti sociali solo in qualità di interlocutori, mentre per quanto riguarda la formazione nelle imprese l’unica funzione riconosciuta riguarda l’apprendistato, peraltro già ampiamente regolamentato (dalla stessa riforma della Lavoro).
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A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, si può infine sottolineare che in effetti quello della mancanza di una formazione professionale continua è spesso e volentieri indicato come un problema strutturale del mercato del lavoro italiano, indietro rispetto al resto d’Europa o agli Stati Uniti, dove più che le leggi forse è una pratica comune e diffusa quella di accrescere, o anche cambiare più volte nell’arco della vita lavorativa, le competenze e le esperienze professionali.
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Il legislatore ha in qualche modo affrontato il problema e ora le norme sono attese alla prova dei fatti, e bisognerà anche vedere come verranno messe in opera dalle parti sociali, principali attori dell’ingessato mercato del lavoro italiano.