Una nuova circolare del Ministero del Lavoro spiega quali aziende sono interessate dalla conciliazione obbligatoria prevista dalla Riforma Fornero nel caso di controversie di lavoro e con quali procedure.
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La procedura fa parte delle nuove regole sul licenziamento introdotte dalla Riforma, che hanno modificato l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e riguarda solo le aziende sopra i 15 dipendenti (sopra i 5 per le aziende agricole).
Come si effettua il computo dei dipendenti? Ecco i lavoratori che rientrano o meno nel novero dei “15” a seconda del contratto: part-time e intermittente concorrono al tetto “pro quota” a seconda dell’orario rispetto al tempo pieno contrattuale; apprendistato, inserimento, somministrazione e reinserimento sono esclusi dal computo.
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Licenziamenti con conciliazione
Per esplicita previsione della Riforma del lavoro (comma 40 art. 1), la conciliazione obbligatoria riguarda solo i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. La nuova circolare cita diverse sententenze di Cassazione per chiarire in quali casi si rientra in questo ambito:
- ristrutturazione reparti,
- soppressione posto di lavoro,
- terziarizzazione ed esternalizzazione attività,
- inidoneità fisica,
- impossibilità di ricollocamento (repechage ) nello stesso gruppo di imprese,
- chiusura cantiere (per l’edilizia),
- misure detentive,
- provvedimenti amministrativi che incidono sul lavoro (ritiro patente per autisti o porto d’armi per guardie giurate).
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La circolare cita anche una sentenza di Cassazione (11465 del luglio 2012) secondo cui le ragioni inerenti l’attività produttiva (che possono comportare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo) sono una scelta dell’imprenditore e, quando effettive e non simulate o pretestuose, insindacabili dal giudice.
Infine, se la procedura riguarda, nell’arco di 120 giorni, almeno cinque dipendenti e le ragioni organizzative sono le stesse, si rientra nelle procedure previste dalla normativa sui licenziamenti collettivi (legge 223/1991).
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La procedura
Il datore di lavoro invia comunicazione scritta alla Direzione del Lavoro (con raccomandata o attraverso posta elettronica certificata) e la trasmette per conoscenza all’interessato. La comunicazione deve contenere:
- intenzione di procedere a licenziamento per giustificato motivo oggettivo,
- motivazione,
- eventuali misure di assistenza per la ricollocazione.
La procedura si intende formalmente avviata dalla data di ricezione della comunicazione da parte della Direzione del Lavoro, che ha sette giorni di tempo per convocare le parti (per raccomandata o posta elettronica certificata, modalità individuata come preferibile). La conciliazione deve terminare entro 20 giorni dalla convocazione. Il tentativo di conciliazione avviene davanti alla commissione della direzione del Lavoro, le parti possono essere assistite da organizzazioni di rappresentanza (sindacati), avvocati, consulenti del lavoro. Le parti possono sforare il termine di 20 giorni se lo ritengono necessario per raggiungere un accordo.
In caso di mancato accordo, la commissione redige un verbale di mancato accordo, che contiene la descrizione dell’atteggiamento delle parti nel corso della procedura e ne dettaglia contenuti (ad esempio, se il lavoratore si oppone ritenendo il licenziamento disciplinare o discriminatorio). La conclusione, in questo caso, è il licenziamento, la cui decorrenza parte dall’avvio della procedura. L’eventuale periodo lavorato nel corso della procedura, è considerato preavviso lavorato.
Se invece le parti trovano un accordo, si possono individuare soluzioni alternative o arrivare alla soluzione consensuale del rapporto. Quest’ultima deve dettagliare l’eventuale accordo economico. Il lavoratore mantiene il diritto all’Aspi, l’assicurazione generale per l’impiego.