Il tema del lavoro femminile le sue ricadute sul PIL italiano sono state a lungo dibattute nell’ambito della riforma del lavoro, in virtù dei numeri sulle imprese femminili che sembrano riscuotere un certo successo anche in tempo di crisi. Le iniziative di promozione dell’occupazione femminile sono molteplici, e qualcosa si muove anche a livello delle istituzioni.
Occupazione femminile nel privato
L’equità di genere per quanto concerne parità di trattamento economico e ruoli professionali è stata fissata al 2016. Per centrarlo, il Governo Monti si è in nella commissione Lavoro al Senato a promuovere la conciliazione tra lavoro famiglia, fra vita professionale e privata.
L’introduzione di voucher sociali defiscalizzati, utilizzabili per avvalersi di servizi quali asili nido, scuole materne o assistenza socio-sanitaria, potrebbe fornire una risposta importante, che in altri paesi è già praticata con buoni risultati.
Al convegno di Pari o Dispare ed Edenred su Welfare, Servizi e occupazione femminile, si è fatto il punto sullo stato dell’arte in Italia.
Un welfare più attento alle problematiche delle lavoratrici (oltre che dei lavoratori) migliora anche il livello di stress a cui, secondo una recente indagine della Commissione Europea, è attribuibile il 50-60% dei giorni di lavoro persi in tutta Europa, dove i costi diretti legati allo stress equivalgono a qualcosa come il 4% del PIL europeo.
Strumenti come i benefit potrebbero seriamente costituire una risposta decisiva: “il maggiordomo aziendale”, che sbriga le pratiche quotidiane del dipendente, o il “ticket family” o quello dedicato alla cultura, utilizzabile per il tempo libero.
Benefici per le aziende
Le aziende traggono vantaggio dagli strumenti per il welfare dei lavoratori attraverso il raggiungimento di risparmi fiscali consistenti, una migliore reputazione aziendale ed un incremento della motivazione dei dipendenti, che è solitamente molto bassa (48% in Europa fra i lavoratori di Belgio, Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito).
Una politica di benefit mirati potrebbe inoltre favorire l’introduzione di sistemi di valutazione del personale basati sul merito e sul profitto, in cui i benefit costituiscono il sistema premiante.
Le aziende potrebbero assicurarsi la collaborazione proficua dei dipendenti e contestualmente mitigare il timore numero uno per gli Italiani (39%): perdere il lavoro, che scaturisce dalla percezione di sentirsi sempre “sulla porta”, a causa della crisi ma anche di politiche aziendali che tendono ad impoverire la forza lavoro. Intervenire in questi strumenti potrebbe restituire credibilità e ottimismo con un migliore rendimento di tutti.
Occupazione femminile nel pubblico
Di una certa rilevanza in questo senso la lettera aperta di alcune esponenti del mondo accademico, membri del Comitato scientifico GIO (Gender Interuniversity Observatory), che si sono espresse a sostegno delle quote rosa in AgCom (Autorità per la Garanzia nelle Comunicazioni): Francesca Brezzi e Laura Moschini (Università Roma Tre), Marisa Ferrari Occhionero e Mariella Nocenzi (Università La Sapienza, Roma), Laura Silvestri ed Elisabetta Strickland (Università Tor Vergata, Roma).
Il parere di queste donne di cultura è condivisibile: è necessario un recupero di competitività economica delle qualità e capacità sottostimate e sottoutilizzate delle donne per trasformarle in valore aggiunto per la crescita del Paese.
L’iniziativa non è priva di senso pratico: vi sono infatti posti vacanti in tante posizioni pubbliche dove, per l’obbligo delle quote rosa, si dovrà procedere alla scelta di componenti femminili. La preoccupazione è quella di scegliere secondo merito e capacità evitando decisioni più politiche che pratiche.
L’obiettivo è promuovere una rappresentanza paritaria, una cultura etica della res pubblica con una onestà e preparazione specifica al ruolo istituzionale da assumere. La ricaduta non sarebbe solo politica ma potrebbe davvero consentire all’Italia di corrispondere alle direttive europee e di dare un impulso competitivo anche al settore economico del Paese.
Altri paesi che contano su una maggiore presenza femminile hanno superato meglio le problematiche della crisi globalizzata e raggiunto se non superato gli obiettivi del trattato di Lisbona.