Ore decisive per la formulazione definitiva della Riforma del Lavoro, con il nodo fondamentale dell’articolo 18 al centro del dibattito.
In particolare sul capitolo dei licenziamenti per motivi economici.
L’impianto del nuovo nuovo articolo 18 a quanto pare resterà intatto ma l’Esecutivo sta tentando di risolvere le questioni tecniche, sollevate in merito dalla formulazione dei licenziamenti economici.
Rispetto alla bozza del Disegno di legge approvata in CdM il 23 marzo scorso, sembra che il Governo sia intenzionato a introdurre due novità:
- tentativo di conciliazione obbligatoria con accordo di tipo economico;
- nuova procedura per i ricorsi contro il licenziamento.
Licenziamenti
La formulazione attuale prevede tre tipi di licenziamenti, ai quali corrispondono diverse misure di protezione:
- Discriminatori, resta il reintegro (per tutte le aziende, anche quelle sotto i 15 dipendenti, come già avviene in base alle leggi).
- Disciplinari illegittimi, a discrezione del giudice si può ottenere reintegro o indennizzo economico (fra le 15 e le 27 mensilità).
- Economici è previsto solo l’indennizzo.
Reintegro
Ma cosa accade se l’azienda licenzia per motivi economici ma il dipendente licenziato voglia fare ricorso individuando motivi discriminatori o disciplinari? Si otterrebbe il reintegro o no?
Secondo le novità allo studio, per prima cosa scatterebbe il tentativo di conciliazione obbligatoria in sede stragiudiziale fra le parti (azienda e lavoratore) per cercare un accordo economico, che si pensa eventualmente di incentivare con strumenti quali voucher per corsi di formazione e aggiornamento professionale per il ricollocamento.
Se non si trova l’accordo il lavoratore licenziato ha due strade:
- per aspirare al reintegro, toccherà al lavoratore licenziato per motivi economici provare al giudice che il licenziamento è motivato da cause differenti (esplicitando quella presunta e presentando comprovate motivazioni) da quelle addotte dall’azienda, gravandosi di fatto dell’onere della prova.
- se invece il lavoratore contesta il licenziamento economico, ritenendolo illegittimo, ma non sostiene che in realtà si è trattato di un altro tipo di licenziamento, nel caso in cui vinca la causa scatta l’indennizzo.
Se il tentativo di conciliazione fallisce, dunque, su può andare dal giudice, ma attenzione: il lavoratore va incontro a un rischio: se per esempio il lavoratore ha rifiutato l’accordo economico e ha fatto ricorso senza validi motivi, il giudice potrebbe decidere per un indennizzo più basso (sempre nella forchetta 15 – 27 mensilità).
Il parere dei sindacati
I sindacati, soprattutto la Cgil, puntano al reintegro anche per i licenziamenti economici.
Susanna Camusso, segretaria Cgil, non ha dubbi: «il governo sia coerente. Se dice che non è una riforma contro il lavoro allora riconosca che a ogni licenziamento illegittimo corrisponda il reintegro», se invece di pensa «che i licenziamenti illegittimi non vadano sanzionati, allora si andrà contro la dignità dei lavoratori».
Fra l’altro, i sindacati sembrano temere un rischio abusi da parte dei datori di lavoro, che potrebbero cercare di far passare come economici licenziamenti che in realtà hanno altre motivazioni (un rischio che le imprese contestano).
Il parere delle imprese
Le imprese, e in particolare Confindustria, avvertono: niente cambiamenti all’impianto della riforma per quanto concerne l’articolo 18, altrimenti salta l’appoggio su tutta la riforma del lavoro.
La presidente uscente Emma Marcegaglia prende a sua volta una posizione molto precisa: se si modifica la norma sui licenziamenti economici, «allora dobbiamo cambiare tutto». Perchè la riforma prevede «un irrigidimento sulla flessibilità in entrata un maggior costo dei contratti a termine» e «grandi limitazioni sulle partite IVA e sui co.co.pro.».
Come dire: le imprese di concessioni ne hanno fatte diverse in tema di flessibilità in entrata (fra l’altro, si tratta di punti rilevanti per le PMI), quindi ci deve essere un adeguato controbilanciamento sulla flessibilità in uscita. Quindi, conclude Marcegaglia, «se cambiamo dobbiamo cambiare tutto o, al limite, non fare la riforma».
Il fronte politico
Sul fronte politico (alla fine a votare sulla riforma sarà il Parlamento) ci cono in primis i mal di pancia del Pd, con il segretario Pierluigi Bersani che di fatto si esprime a favore della possibilità di reintrodurre il reintegro (a discrezione del giudice) per tutti i licenziamenti. Bersani propone di modificare la questione dei licenziamenti economici dando al giudice la possibilità di decidere fra indennizzo e reintegro nel caso in cui li ritenga illegittimi. Sul modello tedesco (più volte citato, in questa fase di dibattito, e per esempio caldeggiato dalla Cisl).
In cambio, Bersani sembra orientato a prevedere aperture, accettando eventualmente cambiamenti, sulla «flessibilità in entrata», soprattutto per «alleggerire un certo carico burocratico». Per il resto, secondo Bersani l’intesa potrebbe essere vicina. E anzi, il segretario del Pd spinge per un’approvazione parlamentare in tempi rapidi: «almeno in un ramo del Parlamento vorrei chiudere la sostanza del problema anche prima del 6 maggio, prima delle amministrative».
Posizione particolarmente rigida quella dell’Italia dei Valori, che annuncia l’intenzione di presentare un referendum sulle modifiche all’articolo 18. Il leader Antonio Di Pietro è contrario ad una sua riforma perchè si darebbe «agli imprenditori la possibilità di licenziare in maniera indiscriminata», e propone un referendum abrogativo dell’eventuale cambiamento, se questo dovesse passare.
L’unica cosa su cui tutti sono al momento d’accordo è che queste procedure le controversie diventino più veloci (contrariamente a quanto succede oggi, con cause di lavoro che durano anni.
Per il resto, il dibattito è acceso.
Una strada ancora in salita per il Governo, che proprio in queste ore è impegnato nelle modifiche al testo: il premier Mario Monti al ritorno dal viaggio in Cina affronterà subito la questione, e forse già il 3 aprile, potrebbe arrivare il testo definitivo del Governo.