In queste settimane di dibattito sulla riforma del lavoro, in materia di regole sui licenziamenti è spesso stato citato il “modello tedesco”: in effetti, quello della Germania è un sistema che molto in sintesi prevede la doppia possibilità, in caso di licenziamento ingiustificato, di reintegro o di indennizzo economico.
Un altro Paese spesso citato come riferimento in materia di flessibilità è la Danimarca, specificamente per il sistema denominato di flexicurity, che da una parte concede alle aziende margini appunto flessibili per licenziare, dall’altra tende a tutelare il lavoratore dal punto di vista economico e della possibilità di reimpiego.
In generale, si può comunque dire che i panorama delle regole sul mercato di lavoro in Europa sia abbastanza variegato: più o meno tutti i Paesi prevedono la necessità di comunicare il licenziamento per iscritto, così come in tutta Europa ci sono norme che vietano le discriminazioni sul posto di lavoro (i licenziamenti discriminatori sono comunque vietati anche negli Stati Uniti) e regole specifiche per tutelare le donne in gravidanza.
Sono aspetti utili a fare un paragone con l’Italia, e in particolare con l’impianto della riforma del lavoro in corso, in cui uno dei cambiamenti più rilevanti riguarda appunto la disciplina dei licenziamenti. In realtà, le modifiche riguardano particolarmente l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, che prevede il reintegro per tutti i licenziamenti individuali in assenza di giusta causa per le imprese sopra i 15 dipendenti.
La riforma, come è noto, prevede invece una maggior flessibilità, rendendo per esempio possibili il licenziamento individuale per motivi economici dietro il pagamento di un risarcimento, e introducendo una discrezionalità del giudice in tema di licenziamenti disciplinari. Vediamo brevemente cosa succede nel resto del mondo.
Germania
Come detto, il nuovo schema di riforma italiana attinge in buona parte dal modello tedesco. In Germania ci sono state diversi cambiamenti alla normativa sul lavoro nell’ultimo decennio, nel senso di una maggior flessibilità. In estrema sintesi, la Germania come l’Italia prevede una distinzione fra piccole aziende e imprese di dimensioni maggiori.
Il limite è però fissato nel numero di dieci dipendenti. Sotto questa soglia, il licenziamento è più facile, mentre per le imprese di dimensioni maggiori è necessario una consultazione con il Comitato d’impresa (quella che noi definiremmo rappresentanza sindacale aziendale).
Il dipendente resta al suo posto per tutta la durata del negoziato. Se il Comitato d’impresa ritiene illegittimo il licenziamento, si ricorre al giudice. Quest’ultimo può disporre il reintegro, oppure un indennizzo economico. Il licenziamento deve sempre prevedere un preavviso (è in tronco solo per colpa grave del lavoratore, concetto equiparabile alla nostra giusta causa). Esiste poi un sistema di ammortizzatori che prevede un sussidio di disoccupazione per un anno, intorno al 67% dell’ultimo stipendio netto. Dopo questi 12 mesi, subentrano altre forme di sussidio.
Gran Bretagna
In realtà si può dire che non esista uno strumento paragonabile al nostro contratto a tempo indeterminato. I contratti di lavoro si dividono in due grandi categorie: employment (sostanzialmente, un contratto da dipendente) e services (una prestazione ad esempio di un libero professionista). In pratica, sono vietati solo i licenziamenti discriminatori, per i quali può scattare il reintegro. Per gli altri casi di licenziamento, si prevede un risarcimento. Il dipendente ha diritto a chiedere al datore di lavoro di mettere per iscritto il licenziamento, che altrimenti può essere anche comunicato a voce.
Danimarca
E il Paese della flexicurity. Sono possibili i licenziamenti per motivi economici, o legati alle competenze del lavoratore. Sono vietati quelli discriminatori e quelli definiti “arbitrari”. Non è motivo di licenziamento un’operazione di compravendita dell’azienda.
La peculiarità di questo sistema è rappresentata dalle protezioni per il lavoratore che perde il lavoro: il 90% della retribuzione per il primo anno, l’80% per il secondo, il 70% per il terzo e il 60% per il quarto. Il sussidio è a carico dell’azienda, che deve anche aiutare il lavoratore nella formazione e aggiornamento professionale e nella ricerca di un nuovo impiego.
Francia
Sono possibili i licenziamenti per motivi economici e anche per ragioni legate alle competenze del dipendente, dietro pagamento di un indennizzo minimo di sei mesi (in genere dai 12 ai 24 mesi). C’è il reintegro per quelli discriminatori e per i casi di molestie. Esiste il cosiddetto Consiglio de probiviri, formato da rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, per le mediazioni.
Spagna
Anche qui, esiste la possibilità di licenziare per motivi economici, dietro il pagamento di un risarcimento che la recente riforma ha abbassato a 20 giorni per ogni anno di lavoro (prima erano 45) per un massimo di 12 anni per le imprese in difficoltà (crisi aziendale), a 33 giorni, per un massimo di 24 anni per le aziende non in crisi.
Usa
Una breve panoramica al resto del mondo non può non citare gli Stati Uniti, che in base alle statistiche Ocse sono il Paese con le regole meno severe in termini di licenziamento. L’azienda è sostanzialmente libera di licenziare se lo ritiene opportuno (at will). Anche qui, sono vietati però i licenziamenti discriminatori: in questo caso il risarcimento deve essere pari almeno all’intera retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di mancato di lavoro e può prevedere anche un indennizzo per i danni psicologici e per danni economici futuri.
Cina
La superpotenza emergente dell’economia mondiale ha invece leggi particolarmente restrittive in materia di lavoro e licenziamenti. Il dipendente è licenziabile solo per giustificato motivo, anche nel corso del periodo di prova. È in ogni caso illicenziabile se lavora per la stessa azienda da almeno 15 anni, se gli mancano meno di cinque anni alla pensione e nel caso di malattie dovute all’attività aziendale. Sono vietati i licenziamenti delle donne in gravidanza. C’è il diritto al reintegro, che il lavoratore può rifiutare in cambio di un indennizzo economico.