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Riforma del lavoro Monti-Fornero, cosa cambia

di Barbara Weisz

Pubblicato 21 Marzo 2012
Aggiornato 23 Marzo 2012 18:20

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Le novità della riforma del lavoro: articolo 18, reintegro solo per licenziamento discriminatorio, anche sotto i 15 dipendenti; contratti a termine; occupazione femminile; congedo di paternità; partite IVA; ammortizzatori sociali; Aspi.

La novità più grossa di questa riforma del lavoro, rispetto a quanto previsto dalla bozza, riguarda la flessibilità in uscita, ovvero l’articolo 18: la norma sul reintegro nella sua nuova formulazione non si applica più solo alle grandi aziende ma anche a quelle sotto i 15 dipendenti. Dunque, anche a tutte le PMI.

Certo, non si tratta del “vecchio” articolo 18, ma di una nuova norma che il reintegro lo prevede solo per i licenziamenti discriminatori.

Un’altra grossa novità della riforma riguarda l’introduzione di alcune misure pensate specificamente per le donne: divieto di dimissioni in bianco, e congedo di paternità obbligatorio.

E poi ancora, cambiamenti sui contratti, sull’apprendistato, sugli ammortizzatori sociali, fra i quali come previsto rientra la nuova Aspi, assicurazione sociale per l’impiego.
Ma vediamo come si configura questa riforma del lavoro, così come l’hanno presentata il premier Mario Monti e il ministro Elsa Fornero, che di fatto l’ha messa a punto e ha condotto la lunga fase di trattative, precisando che nei prossimi giorni saranno possibili nuove limature, in vista del nuovo tavolo, con ogni probabilità conclusivo, convocato per il pomeriggio del 22 marzo.

Articolo 18 e licenziamenti

Come è ormai noto, l’articolo 18 è stato lo scoglio più duro da superare e anche quello su cui alla fine non si è ottenuto il consenso di tutte le parti (manca la Cgil). Come previsto dalla bozza, la nuova formulazione dell’articolo 18 distingue fra tre forme possibili di licenziamento individuale.

  • I licenziamenti discriminatori (determinati da ragioni politiche, religiose, sindacali e in genere da motivazioni discriminatorie sui diritti fondamentali della persona) restano tutelati dall’obbligo di reintegro. Qui la principale novità è rappresentata dal fatto che, mentre oggi l’articolo 18 copre solo i dipendenti delle aziende sopra i 15 dipendenti, il reintegro diventa ora obbligatorio anche nelle aziende sotto la soglia dei 15 dipendenti, quindi appunto in tutte le PMI.
  • Licenziamenti per motivi economici: oggi in base alle leggi sono possibili solo se riguardano almeno cinque dipendenti (e seguono le procedure dei licenziamenti collettivi). Con la riforma, invece, i licenziamenti economici (ristrutturazione aziendale, crisi, e in genere motivazioni economiche) saranno possibili anche a livello individuale, dietro il pagamento di un indennizzo fissato da 15 a 27 mensilità.
  • Licenziamenti per motivi disciplinari. Oggi in pratica non sono possibili (è difficile in realtà stabilirlo, comunque in sintesi oggi ci vuole una “giusta causa”, senza la quale scatta il reintegro). Con la riforma, questi licenziamenti (per esempio, troppe assenze) saranno possibili, ma sarà il giudice, in caso di ricorso del lavoratore, a stabilire se scatta il reintegro o se invece l’azienda deve pagare un risarcimento economico (anche qui, fra le 15 e le 27 mensilità). In sintesi, il giudice deciderà per il reintegro nei casi in cui la motivazione disciplinare è inesistente (perché il fatto non è stato commesso, o perché non rientra fra quelli previsti dai rispettivi contratti di lavoro), altrimenti disporrà l’indennizzo economico.

Tutte queste novità valgono per tutti i lavoratori, anche quelli già assunti, a partire dalla data di entrata in vigore della riforma (quindi non c’è nessun periodo cuscinetto). La riforma prevede anche di velocizzare i processi sui licenziamenti.

Infine la riforma prevede un‘indennità di licenziamento, pari a mezza mensilità all’anno per gli ultimi tre anni.

Ammortizzatori sociali

La novità più rilevante della riforma, come previsto, è rappresentata dall’introduzione dell’Aspi, assicurazione sociale per l’impiego. Restano la cassa integrazione ordinaria e straordinaria, spariscono invece la mobilità e la cassa integrazione in deroga.

Arriva un fondo di solidarietà per i lavoratori costretti a lasciare il lavoro a quattro anni dalla pensione (sono quelli su cui maggiormente pesa l’eliminazione della mobilità, che oggi spesso sommata alla cassa integrazione consente di arrivare alla pensione) e per i quali si prefigura così una sorta di pensione anticipata. I nuovi ammortizzatori scattano dal 2017.

  • L’Aspi, che diventa in pratica uno sorta di strumento sociale universale, riguarda tutti i lavoratori che abbiano almeno due anni di anzianità assicurativa e 52 settimane di lavoro nell’ultimo biennio. Sarà applicata anche agli apprendisti e agli artisti dipendenti, che oggi non hanno armortizzatori. Prevede un assegno di un massimo di 1119,32 euro con due abbattimenti del 15%, uno ogni sei mesi. Dura un massimo di 12 mesi, più altri sei, arrivano quindi a 18 mesi, per chi ha oltre 55 anni. Il fondo per l’Aspi sarà pagato da imprese (tutte, anche le PMI sotto i 15 dipendenti) e lavoratori. Le aliquote sono quelle già previste dalla bozza: 1,3% per i contratti a tempo indeterminato, 2,7% per gli altri contratti.
  • La cassa integrazione, ordinaria e straordinaria, resta invariata. Sparisce la mobilità (e sparisce anche il relativo contributo per le aziende, 0,3% della retribuzione). Ma, soprattutto per coprire i lavoratori più vicino alla pensione, si prevede un apposito fondo per dare un contributo sociale a chi al momento del licenziamento raggiungerebbe la pensione entro quattro anni. Questo fondo sarebbe pagato dalle imprese.

Occupazione femminile

Sono una novità della formulazione definitiva, e i più importanti strumenti introdotti per favorire l‘occupazione delle donne sono due: ci sarà una norma specifica contro le dimissioni in bianco (nel capitolo maggior inclusione delle donne). La norma è pensata per le donne a cui viene chiesto di firmare dimissioni in bianco in vista di una possibile gravidanza, ma in realtà si potrà applicare a tutti i casi in cui al lavoratore (uomo o donna che sia) viene chiesto di firmare dimissioni in bianco.

C’è poi un’altra norma che invece prevede una sperimentazione del congedo di paternità obbligatorio. Questa sperimentazione, di cui non si conoscono ancora i dettagli (quindi ancora non si sa cosa prevede esattamente il congedo di paternità, quanto dura, come è retribuito), sarà finanziata dal ministero del Welfare.

Infine, è previsto un monitoraggio perché la norma (già esistente) sul rispetto delle quote rosa nei consigli di amministrazione sia rispettata, e la previsione di estendere questa norma anche alle società partecipate e magari al settore pubblico.

I contratti

In materia di contratti, le novità sono molte. Il senso generale della riforma è quello di privilegiare il contratto a tempo indeterminato. Per quanto riguarda i giovani, il contratto prevalente sarà l’apprendistato, oppure il contratto di inserimento per chi ha più di 29 anni.

Una grossa novità riguarda gli stage: possibili solo per motivi formativi, per cui ad esempio durante il percorso di studio. Ma dopo non sono più possibili stage gratuiti, solo forme di lavoro retribuito.

Quanto ai contratti a tempo determinato, le novità sono due: come detto saranno quelli che maggiormente contribuiranno all’Aspi, ma la quota in più dell’1,4% può essere recuperata dalle aziende quando il contratto viene eventualmente trasformato a tempo indeterminato. I contratti a tempo determinato saranno possibili solo fino a un massimo di 36 mesi, dopo scatta il tempo indeterminato.

Partite IVA

Fra le forme, annunciate, per scoraggiare forme di lavoro flessibile che in realtà nascondono rapporti a tempo indeterminato, è stata annunciata una novità importante per le partita IVA: un giro di vite, in base al quale in tutti i casi in cui c’è un contratto a partita IVA che dura da almeno sei mesi con un unico committente e la postazione di lavoro presso la sede del committente, scatta automaticamente il tempo indeterminato.

Cioè la legge prevede un cosiddetto meccanismo di presunzione, per cui non sarà il lavoratore a dover dimostrare che in realtà la partita IVA nasconde un rapporto subordinato, ma è la legge che lo presume direttamente, cotringendo il datore di lavoro al contratto a tempo indeterminato appunto dopo sei mesi.

Vengono anche proibite le forme di partecipazione societaria, escludendo solo i familiari: la motivazione è la stessa, spesso mascherano rapporti a tempo indeterminato.