La revisione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori è stato lasciato come ultimo capitolo di una riforma del lavoro che vive un round finale lungo, lunghissimo: la giornata del 20 marzo è iniziata dopo una nottata densa di negoziati (tre ore di incontro fra il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, e i sindacati confederali, Cgil, Cisl e Uil), dopo che la giornata precedente era stata a sua volta dedicata alle trattative, su vari tavoli, ed è proseguita con una girandola di incontri fino a quello, fondamentale, fra tutte le parti alla presenza del premier, Mario Monti.
Una strada ancora tutta in salita, insomma, soprattutto a causa della difficoltà di trovare un accordo sull’articolo 18, con la posizione più rigida che resta quella della Cgil, mentre sull’altro fronte caldo, quello delle imprese (che vede soprattutto le critiche delle PMI rappresentate da Rete Imprese Italia sugli aggravi al costo del lavoro per le aziende), si registrano una schiarita. È il presidente di Rete Imprese Italia, Marco Venturi, a parlare di «passi avanti» dopo aver incontrato il ministro Fornero in mattinata.
Ma l’intesa ancora non c’è, malgrado l’appello rivolto ieri dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano: «sarebbe grave la mancanza di un accordo in cui le parti sociali diano solidamente il loro contributo». Come è noto, il Governo ha a più riprese sottolineato l’importanza di arrivare a un’intesa con le parti, ma ha anche sempre ribadito che, in caso contrario, la riforma del lavoro si farà comunque.
Certo, vista la girandola di incontri che stanno caratterizzando gli ultimi giorni, è evidentemente che lo sforzo di concludere la trattativa c’è. Ma non si può negare la difficoltà di arrivare a un compromesso.
A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, si possono sottolineare due aspetti.
Accordo più vicino
Il primo è rappresentato dalle dichiarazioni di Marco Venturi, presidente di Rete Imprese Italia, all’uscita da un vertice a Palazzo Chigi, a cui hanno partecipato anche Confindustria e Abi, a metà giornata: «siamo più vicini rispetto a prima ad un accordo. Sono stati compiuti passi in avanti, non siamo ancora all’accordo ma siamo più vicini». Venturi ha sottolineato che le imprese hanno posto alcune questioni e ha aggiunto che «sulla stagionalità c’è una risposta positiva e su altri punti anche di carattere economico qualche passo è stato fatto».
Dichiarazioni che, arrivando da un’associazione che nei giorni scorsi minacciava di non firmare l’accordo e di disdettare i contratti di categoria, può certamente essere letta come un’apertura. Dunque la strada dell’intesa fra Governo e imprese sembra se non in discesa almeno più agevole (lo ricordiamo, il problema numero uno per le PMI sono gli aggravi di costo, previsti soprattutto dai nuovi ammortizzatori sociali, come l’Aspi, l’assicurazione sociale per l’impiego, e sui contratti a tempo determinato).
Articolo 18
Sull’articolo 18, invece, è tutta un’altra musica. Lo ammette lo stesso Venturi: «è un punto delicato, dobbiamo aspettare. Spero che entro stasera ci siano tutte le risposte» (in realtà le PMI sono le meno coinvolte su questo fronte, visto che l’obbligo di reintegro riguarda le aziende con oltre 15 dipendenti, e quindi esclude i piccoli, ma non le aziende di medie dimensioni).
Ma le dichiarazioni dei sindacati sono di altro tenore, soprattutto le posizione espresse dalla segretaria della Cgil, Susanna Camusso: «è più che fondato il timore che in realtà l’obiettivo del Governo non sia un accordo positivo per il lavoro ma i licenziamenti facili», ha dichiarato la leader confederale che nel pomeriggio ha riunito la segreteria generale per fare il punto (dopo che in mattinata c’è stato un pre incontro fra sindacati e ministro Fornero, e nel pomeriggio è proseguito un tavolo tecnico al Ministero). Camusso ha sostituito l’espressione molto usata nei giorni scorsi, manutenzione dell’articolo 18, con una decisamente più critica: manomissione dell’articolo 18.
Licenziamenti disciplinari
Come è noto, sull‘articolo 18 il punto più critico resta quello dei licenziamenti disciplinari, che secondo la bozza della riforma del lavoro del Governo prevedono una discrezionalità del giudice che potrebbe scegliere fra reintegro e indennizzo economico. Se Cisl e Uil, pur critiche, non hanno mai escluso del tutto di poter mediare anche su questo, la Cgil si è messa decisamente di traverso.
Ed è proprio su questo punto che però si può citare il secondo elemento se non proprio positivo almeno indicativo di una possibile schiarita all’orizzonte. Secondo quanto riporta l’Agenzia Agi, un’ipotesi di compromesso ci sarebbe: un indennizzo di 32 mensilità sui licenziamenti disciplinari, che scatterebbe nel caso in cui il giudice decidesse il risarcimento economico anziché l’indennizzo.
Al di là della quantificazione precisa, la strada di alzare il costo dell’indenizzo per i licenziamenti disciplinari è quella che la Cisl sta tentando di percorrere per promuovere una mediazione fra la Cgil e il Governo. Va sottolineato che anche la posizione della Uil sui licenziamenti disciplinari è molto critica, mentre quella della Cgil è rigida anche sui licenziamenti economici: la sigla guidata da Susanna Camusso non sarebbe disposta a renderli comunque possibili, ma a discutere della possibilità di introdurre, su questi, la discrezionalità del giudice. Tutti d’accordo, fin dall’inizio, sul mantenimento dell’obbligo di reintegro per i licenziamenti discriminatori.