Il dibattito sulla riforma del lavoro è entrato nella fase cruciale: a partire dal 12 marzo è in programma un nuovo round al tavolo delle trattative, dopo lo slittamento dell’appuntamento dell’1 marzo tra Governo e parti sociali sulla riforma degli ammortizzatori sociali, per i quali mancano però le risorse economiche. Tuttavia, è forte la volontà di tutti di arrivare a un accordo almeno per quanto riguarda le nuove regole per il mercato italiano del lavoro.
Ad annunciare la nuova convocazione è stato il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, che non ha però fornito date certe, pur assicurando che il tavolo verrò convocato «a brevissimo».
La linea del governo è sempre quella, e punta sul binomio flessibilità (a beneficio delle imprese, che operano in un mercato sempre più competitivo) e tutele (per i lavoratori, a cui garantire strumenti assicurativi ed assistenziali): aziende e lavoratori, in pratica, devono poter gestire il rinnovamento strutturale dettato dalla riforma senza doverne subire gli effetti più gravosi, come ha spiegato il Ministro Fornero, auspicando per entrambi una «rete di sicurezza più ampia di quella attuale».
Dunque i due obiettivi reali sono: adeguare il sistema degli ammortizzatori (pensato per un mercato del lavoro molto meno flessibile dell’attuale), ed evitare che la flessibilità del lavoro si trasformi in precarietà, sull’esempio del modello tedesco.: «un mercato del lavoro dinamico, con flessibilità più equamente distribuita e adeguatamente remunerata e con ammortizzatori universalistici».
Un punto, quest’ultimo degli ammortizzatori universali, che trova l’accordo dei sindacati, mentre si può prevedere che ci sarà discussione sul modo di trovare le risorse (soldi pubblici o via assicurativa). La segretaria della Cgil, Susanna Camusso, ha valutato positivamente il rinvio del tavolo per reperire le risorse necessarie a questo scopo, sulla base della considerazione che non ci si può «basare esclusivamente sulla contribuzione delle imprese e dei lavoratori per estendere e far diventare universali gli ammortizzatori sociali. Servono quindi risorse pubbliche. Ed è un buon segno il rinvio perché, come ricordiamo, il governo aveva parlato di una riforma a costo zero».
Per il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, «prima di parlare di risorse si deve decidere quale impianto utilizzare» per gli ammortizzatori, e solo dopo «si vede quanti soldi servono e dove trovarli».
Secondo i dati forniti dal governo, l’Italia spende circa 30 miliardi all’anno per gli ammortizzatori sociali, in linea con il resto d’Europa, ma non con i paesi del nord Europa: la Danimarca della flexsecurity ha una spesa media per disoccupato quattro volte superiore a quella italiana.
Comunque, al momento i sindacati restano concentrati sulla necessità di convocare la prossima riunione e su quella di trovare un accordo. Che non deve riguardare solo gli ammortizzatori, ma anche i temi della flessibilità (e qui c’è anche l’articolo 18) e dei contratti. Bonanni è molto chiaro: «spero che il governo ci convochi e dichiari pubblicamente la propria opinione e si predisponga a fornire una posizione in modo tale da rendere agibile una trattativa». E la Cgil avverte: «lavoriamo per l’accordo», ma se il governo dovesse decidere ‘autonomamente’, o non ci fossero le condizioni per la firma, la risposta «non sarà uno sciopero generale», ma la costruzione di un «percorso articolato di mobilitazioni».
Quanto alle imprese, la posizione in particolare delle Pmi sul tema degli ammortizzatori sociali è articolata. Rete Imprese Italia vuole «sfatare il luogo comune per cui la Cassa Integrazione Guadagni in Deroga è utilizzata solo dalle Pmi del commercio e dell’artigianato»: lo strumento nel periodo 2005-2011 è stato utilizzato «dall’Industria per circa il 39% del totale nonostante l’utilizzo delle integrazioni salariali ordinarie e straordinarie».
Comunque, uno «strumento unico di Cassa per tutti i settori» secondo l’associazione di Pmi «non risponde alle esigenze dei diversi comparti economici, anzi può rivelarsi inutile ed addirittura dannoso», mentrre si può pensare a un sostegno al reddito dei lavoratori di aziende in crisi attraverso strumenti di natura contrattuale gestiti dalla bilateralità, sull’esempio di quanto avviene nell’artigianato.
In generale, Rete Imprese Italia si dichiara favorevole a una riforma che sostanzialmente confermi le attuali norme su apprendistato, contratti e termine, part-time, potenzi i contratti di reinserimento, con particolare attenzione a donne e lavoratori over 55, eviti abusi e distorisioni in alcune forme di flessibilità (contratti a chiamata, partite Iva, contratti a progetto), introduca alcuni incentivi alle assunzioni, per favorire la crescita dell’occupazione. Su questo, ci sono tre proposte: incentivi fiscali e contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato che incrementano i livelli occupazionali, incentivi alla stabilizzazione di chi matura almeno 36 mesi di contratti a tempo determinato, anche non continuativi e anche presso più datori di lavoro e infine un vantaggio per chi assume lavoratori che prendono un sussidio, attraverso l’attribuzione al datore di lavoro di una quota del sussidio residuale spettante al lavoratore, con relativo risparmio per le finanze pubbliche.