Il rapporto sulla coesione sociale di Ministero del Lavoro, ISTAT e INPS fotografa il mercato del lavoro in Italia, in un momento storico di particolare complessità, tra crisi economica che attanaglia le imprese, disoccupazione dilagante e riforma del lavoro ormai alle porte.
L’Italia del precariato
I dati ISTAT sull’occupazione non sono affatto confortanti: l’Italia appare una Repubblica fondata sul precariato: il 77,3% dei nuovi contratti sono atipici, ovvero contratti a tempo determinato (67,7%) o collaborazioni (8,6%).
In totale, nei primi sei mesi del 2011 sono stati firmati oltre 5,325 milioni di nuovi contratti di lavoro e di questi solo il 19% sono stati a tempo indeterminato ed il 3% contratti di apprendistato. Poi ci sono circa 687mila rapporti di lavoro talmente precari da essere durati solo un giorno.
In media ciascun lavoratore in Italia ha stipulato 1,46 contratti di lavoro precari.
I parasubordinati in Italia (1,7 milioni di unità) sono in prevalenza uomini (58,7%, 995mila unità) con età media di 42 anni, residenti al Nord (55,4%) e con un contratto di collaborazione (85% pari a 1,4 milioni di unità, in calo del -1,7%). Solo il 15% è rappresentato da professionisti (250mila unità in crescita del +3,2%); il 25,9% lavora al Centro, il 12,5% al Sud e il 6,2% nelle isole. L’età media di 42,2 anni deriva da quella maschile di 45 anni e di quella femminile di 38,3 anni.
Retribuzioni inferiori per le donne
La retribuzione media in Italia è ferma a 1.286 euro netti, derivante sia dalla componente femminile che maschile, che presenta una media di salario più alta: 1.407 euro per gli uomini, 1.131 euro per le donne. Gli stranieri guadagnano meno: 973 euro netti al mese: 1.118 euro per gli uomini, e 788 euro per le donne.
La disuguaglianza sociale dal punto di vista delle retribuzioni in Italia non ha eguali in Europa. Spagna, Portogallo, Grecia, Italia e Regno Unito presentano il maggior grado di disuguaglianza nella distribuzione dei redditi nell’Europa a 15. Dalla parte opposta della classifica si trovano i Paesi Bassi, l’Austria, la Finlandia e la Svezia.
Formazione
Dal rapporto emerge un gran bisogno di formazione in Italia per i giovani, che sempre più sono portati ad abbandonare gli studi, con una frequenza (16,4%) tra le più alte in Europa. Nella formazione personale i più diligenti si dimostrano gli uomini, mentre stranieri (43,8%) e donne (12,7%, 42,1% tra le straniere) lasciano prematuramente gli studi più spesso.
E le aziende, sempre più alla ricerca di competenze specifiche, non premiano questa scelta: solo il 43,8% di chi lascia gli studi trova occupazione. Al Sud la percentuale scende al 31,9%, al Nord-est sale al 57,9%.
Conciliazione lavoro famiglia
La conciliazione lavoro famiglia sembra ancora lontana in Italia, a testimoniarlo c’è un dato: il 91% delle donne che scelgono di avere un figlio (pari a 380mila le lavoratrici) hanno dalla loro parte la garanzia di un contratto a tempo indeterminato, ossia un contratto di lavoro che prevede l’astensione obbligatoria per maternità. Solo il 9% ha un contratto a tempo determinato e se nel caso delle dipendenti la maggioranza (58%) vive al Nord, tra le neo-mamme a tempo determinato il 52% vive al Sud o nelle isole.
La possibilità di usufruire di congedi parentali è stata sfruttata da 286mila lavoratori dipendenti e ancora una volta si tratta quasi nella totalità (93,5%) di lavoratori a tempo indeterminato, con una prevalenza di residenti al Nord (67%). Come prima la tendenza si inverte per quel 6,5% di lavoratori atipici che hanno goduto dei congedi parentali pur non avendo il posto fisso: il 74% vive al Sud e nelle isole.
Da sottolineare che solo 10% dei dipendenti che hanno usufruito dei congedi parentali è di sesso maschile, mentre tra le lavoratrici autonome l’adesione è pari al 100%.