Occupazione femminile più bassa d’Europa (dopo quella di Malta), stipendi inferiori del 13%, tasso di abbandono dopo la maternità alle stelle, una giornata lavorativa più lunga rispetto a quella degli uomini(di 45 minuti): sono i dati relativi al mercato del lavoro italiano al femminile emersi nel corso degli “Stati generali sul lavoro delle donne in Italia” presentati al Cnel a Roma.
Esperti di Istat, Banca d’Italia, Isfol e ministero del Lavoro hanno presentato ricerche che descrivono, numeri alla mano, l’esistenza di un gap di genere che è difficile con chiamare discriminazione, e che chiedono come strumento di “primo soccorso” il ricorso massiccio agli incentivi per la conciliazione lavoro famiglia.
Nel 2010 il tasso di occupazione femminile in Italia è stato pari al 46,1% (detto in parole semplici, lavora meno della metà delle donne), dato che colloca il Paese in coda alla relativa classifica europea, davanti alla sola Malta. Dal 2008 al 2010 l’occupazione femminile è diminuita dell1,1%, pari a 103mila unità.
E nei primi nove meni del 2011, 45mila giovani donne hanno perso il lavoro. Le cifre sono state presentate da Linda Laura Sabbadini, capo dipartimenti per le statistiche sociali e ambientali dell’Istat, in un’analisi divisa per fasce di età.
Lavoro femminile: età e maternità
Fra le giovani donne under 30 non solo il tasso di occupazione è più basso, ma la quota di precarietà è più alta rispetto a quella maschile, pari al 35,2% contro il 27,6% dei coetanei. La retribuzione è inferiore di oltre 100 euro: 892 euro di media per le giovani donne, contro i 1056 euro netti delle buste paga dei giovani uomini.
Quando poi nasce il primo figlio, la situazione peggiora ulteriormente: il 30% delle madri interrompe il lavoro, contro il 3% dei padri. E questi son i dati Istat, mentre secondo quelli dell’Isfol, illustrati da Marco Centra, le donne che abbandonano il lavoro dopo la maternità sono il 40,8%. In più al 40,8% di ex lavoratrici che lascia il lavoro dopo la maternità si aggiunge un 5,6% che si dedica in generale alla famiglia e alla cura di persone non autosufficienti, un 17% che perde il posto perché scade il contratto a termine, un 15,8% di licenziamenti o chiusure aziendali.
Ma torniamo all’Istat: fra le donne in coppia e con un figlio il tasso di occupazione è del 60%, contro il 91,3% degli uomini nella stessa situazione, e scende al 50,6% quando i figli sono due per crollare al 33,7% con più di tre figli.
Retribuzioni
Capitolo stipendi: il gap retributivo non riguarda solo le giovani, ma tutte le donne che secondo l’Istat guadagnano mediamente il 20% in meno dei colleghi: 1096 euro in media, contro 1377. Le scoraggiate sono il 16,6%, quattro volte la media Ue (4,4%).
Le cifre della Banca d’Italia sulle retribuzioni, illustrate da Roberto Zizza, presentano un differenziale grezzo degli stipendi fra uomini è donne è pari al 6%, ma calcolandolo tenendo conto delle caratteristiche dei lavoratori (a parità di posizione per esempio) il divario è più ampio e si allarga nel tempo: era al 10,3% nel 1995, è salito al 13,8% nel 2008.
Grado di istruzione
Tutto questo succede nonostante le donne abbiano mediamente un grado di istruzione maggiore degli uomini e superiore rispetto agli incarichi che ricoprono, ha sottolineato ancora Sabbatini. Mentre Antonietta Mundo, coordinatore generale Statistiche attuariali dell’Inps, ha raccontato che i datori di lavoro preferiscono mettere in cassa integrazione gli uomini, forse perché le donne costano meno o forse perché sono un numero inferiore in generale. Resta il fatto, che si tratta di un ulteriore dato che evidenzia una differenza di genere, qualitativa e quantitativa.
Riforma del lavoro
Su una cosa sono tutti d’accordo: il problema è legato in buona parte al Welfare e la riforma del lavoro dovrebbe essere pensata anche in questo senso. Sottolinea Sabbadini: «o si redistribuisce il lavoro di cura tra i generi e nella società, sviluppando una rete di servizi ampia e funzionante, facilitando anche la crescita dell’occupazione delle donne nel settore dei servizi, o difficilmente potrà esservi futuro per l’occupazione femminile».
Secondo l’Isfol, tenendo conto dei carichi di impegni, anche familiari, che le donne si accollano, la loro giornata lavorativa è più lunga di 45 minuti rispetto a quella degli uomini. Nel dettaglio: una giornata di un occupato con almeno un figlio fra lavoro retribuito, spostamenti e altri impegni, dura 15 ore. I padri ne dedicano 10 al lavoro retribuito, le madri 7 ore e 9 minuti, a cui si aggiungono 8 ore e 35 minuti di lavoro familiare.
Riassume Antonio Marzano, presidente del Cnel: «il sistema italiano non fornisce servizi alla famiglia e di conciliazione, di conseguenza le donne o non entrano nel mercato del lavoro, o ne escono mercato dopo il primo figlio o per assistere parenti anziani».
In più, nel mondo del lavoro «sebbene le donne abbiano livelli di istruzione più elevati rispetto ai coetanei, competenze e merito non sono valorizzati, anzi persistono discriminazioni evidenti sulle differenze retributive, qualità del lavoro e di carriera».
Quindi, «bisogna rafforzare concretamente le politiche d’incentivazione a favore dell’occupazione femminile, fornendo alle famiglie asili nido e servizi di cura per la terza età, e sviluppare un modello sociale per promuovere una ripartizione equa del lavoro familiare».