Erasmo da Rotterdam sosteneva che «in ogni attività la passione toglie gran parte della difficoltà» e le donne sembrano saperlo bene: le ultime ricerche e convegni in tema di imprenditoria femminile mostrano che le imprese rosa risentono meno della crisi e prosperano grazie a relazioni commerciali diversificate, buona organizzazione, capacità multitasking e ovviamente un pizzico di passione.
La situazione in Italia
Il secondo Rapporto Nazionale sull’imprenditoria femminile risale agli inizi del 2011, è l’unico documento che su scala nazionale abbia fotografato lo stato delle attività imprenditoriali al femminile. Il periodo di osservazione va dagli anni dal 2003 al 2008, anno di inizio della crisi. Ne è emerso che ben un quarto delle imprese italiane è rosa e che in particolare il Mezzogiorno risponde con prontezza alle politiche di incoraggiamento all’imprenditoria femminile mentre Abruzzo, Basilicata e Molise sono le tre regioni con la componente più elevata di imprese guidate da donne.
C’è un altro dato notevole: le imprese con una forte presenza femminile fanno registrare quasi il doppio di profitti di un’azienda tradizionale. Inoltre il rapporto sembra confermare che più sale il tasso di occupazione femminile, più aumenta il Prodotto interno lordo di un Paese.
L’Osservatorio dell’imprenditoria femminile di Unioncamere ha recentemente stimato un aumento di +8mila 814 imprese femminili rispetto al terzo trimestre dello scorso anno, pari al +47% del saldo totale delle nuove imprese registrate alle Camere di commercio, (18.794 unità tra settembre 2010 e settembre 2011). Negli ultimi tre mesi del 2011 poi, le donne più degli uomini hanno deciso di mettersi in proprio.
Complice la crisi certamente ma anche i bandi in favore dell’imprenditoria femminile che però non devono essere l’unico mezzo di sostegno. Infatti, il Rapporto Nazionale sull’imprenditoria femminile analizzando anche i mezzi a favore delle donne sia dipendenti sia imprenditrici, auspicava un potenziamento degli strumenti: lotta alle discriminazioni di genere che seppur già legiferata, resta di difficile dimostrazione, il supporto delle condizioni delle donne al lavoro e la previsione di strumenti che siano di finanziamento anche se non si deve solo pensare al “fondo perduto”.
In generale sono diverse le ricerche che evidenziano come si possa ottenere di più per il mercato del lavoro: stabilità contrattuale, emersione del lavoro nero, migliore conciliazione tra lavoro e vita privata, finanziamenti strutturati per l’aumento dell’occupazione femminile. Il tutto in favore della crescita del paese.
Strumenti per il futuro
Risposte significative alla richiesta di strumenti per le donne al lavoro sono emerse durante l’ultimo convegno “Questione femminile. Questione Italia” organizzato dall’associazione Pari o Dispare in cui è stato dibattuto il tema della donna per il ruolo attivo e proficuo per il tessuto economico del paese con riferimento anche ad un utilizzo responsabile dell’immagine femminile per evitare effetti degradanti frutto di talune pubblicità.
Durante il dibattito la società Endered, ha diffuso i risultati della ricerca “I buoni servizio nelle politiche sociali di alcuni paesi europei. Possibili applicazioni in Italia” dell’Università di Genova e dalla London School of Economics mirata ad individuare gli strumenti che potrebbero promuovere l’occupazione femminile e ridurre gli ostacoli alla maternità.
Paesi come Regno Unito, Francia e Belgio applicano politiche per i buoni servizio che hanno ricadute positive sulla propria economia. Ad esempio i Childcare Vouchers inglesi costituiscono uno strumento introdotto nell’ambito di progetti mirati all’aumento della qualità, dell’accessibilità dei servizi di assistenza ai bambini e al miglioramento della conciliazione.
Quasi un terzo dei datori di lavoro ha visto aumentare la produttività dei propri lavoratori, grazie ai benefici che queste politiche di conciliazione hanno sull’equilibrio tra vita privata e professionale e in particolar modo sulle donne lavoratrici che hanno fatto ricorso a tali voucher per il 69% del totale.
Graziella Gavezotti, Presidente e AD di Edenred Italia, ha sottolineato che in Italia ancora una donna su tre non lavora per esigenze familiari. I buoni servizio defiscalizzati e finalizzati alle spese per servizi di cura, potrebbero costituire una sorta di welfare secondario a sostegno delle famiglie. Inoltre la manager specifica che chi li utilizza, avendo libertà di scelta sul fornitore, sull’orario e sulla tipologia di attività richiesta, favorisce la competitività tra i vari Enti (profit e non profit) che permettono di aumentare l’efficienza complessiva del settore dedicato ai servizi di cura. Non va poi dimenticato il vantaggio macro-economico dell’emersione del lavoro nero, con una decisiva e positiva ricaduta rispetto al gettito fiscale e all’offerta sul mercato.