Che si tratti dell’unione che regna in una famiglia, dell’intesa che anima una banda di amici piuttosto che dell’affiatamento che rende compatta una work force, risulta abbastanza immediato cogliere la coesione che caratterizza certi gruppi.
Sulla coesione di questi gruppi è piuttosto immediato anche esprimere giudizi. Sono in genere giudizi di apprezzamento, che celebrano la coesione come un valore assolutamente positivo. Per lo specifico dei gruppi di lavoro molti si spingono anche oltre: le celebrazioni lasciano, infatti, spazio agli auspici e da più parti si parla o si scrive con trasporto dell’esigenza di interventi mirati, volti a favorire e rafforzare la coesione nelle organizzazioni produttive. Ciò nella convinzione che la coesione possa rappresentare una delle chiavi di volta in grado di permettere alle imprese di affrontare con successo le nuove sfide dell’economia globale. Visto questo, può essere di una certa utilità chiedersi se per un gruppo di lavoro la coesione rappresenti effettivamente un valore assolutamente positivo.
I fattori che possono determinare la coesione di un gruppo di lavoro sono molteplici e così interrelati tra loro che si possa considerare la coesione come il portato di un delicato equilibrio a più voci. Tra questi fattori uno dei più rilevanti è costituito dalle dimensioni del gruppo. Tendenzialmente, più il gruppo è ristretto più le condizioni sono favorevoli alla coesione; di contro, più il gruppo si dilata meno le condizioni risultano propizie. Questo perché quando un gruppo è composto da poche persone i suoi membri sono in grado di comunicare e di interagire l’uno con l’altro con una certa frequenza. La prossimità reale o virtuale che ne deriva può costituire la miglior premessa per l’instaurarsi di relazioni e legami profondi, in grado di compattare il gruppo.
Quando invece un gruppo è composto da tante persone è più probabile che gli scambi siano diluiti o parziali. Se gli scambi sono diluiti, non è facile che si instaurino rapporti stabili. In più è possibile che le minori occasioni di contatto e di confronto rendano eventuali dissidi più difficili da superare. Se gli scambi sono parziali, cresce in maniera forte il rischio che il gruppo si spacchi in una pluralità di sottogruppi. In entrambi i casi il sovradimensionamento del gruppo determina condizioni potenzialmente sfavorevole alla coesione.
Un altro fattore che può risultare determinante per la coesione di una work force è la percezione di clima che il gruppo matura. Il clima si può sommariamente definire come l’insieme condiviso delle percezioni che i membri di un gruppo di lavoro hanno riguardo al contesto, alla struttura organizzativa ed alle dinamiche operative. Quanto più la valutazione del clima è buona, tanto più i membri del gruppo saranno portati ad investire il gruppo di sentimenti positivi; a considerare un valore farne parte; a sentirsi in dovere di prodigarsi per arricchire con il proprio contributo l’esperienza comune e quant’altro. È evidente che disposizioni di questo tipo possono incidere in maniera forte sulla compattezza dell’insieme. Per la coesione di un gruppo di lavoro può essere determinante anche l’obiettivo che il gruppo è chiamato a raggiungere. Più specificamente, se l’obiettivo è interiorizzato e condiviso da tutti i membri del gruppo sarà in grado di accomunare i lavoratori e di catalizzarne le energie convogliandole nella medesima direzione.
Perché l’obiettivo sia interiorizzato e condiviso dovrà essere espresso in termini assolutamente comprensibili e senza ambiguità; dovrà essere seducente ma anche ben definito in termini di risultato, sapientemente costruito sui dati osservabili e perfettamente calibrato sulle risorse disponibili. Per la coesione di una work force possono avere un peso decisivo anche i principi, i criteri e le norme che improntano l’attività lavorativa. In particolare, si può chiamare in causa quel complesso di regole che disciplinano l’accesso dei membri di un gruppo di lavoro tanto alle esperienze gratificanti quanto a quelle spiacevoli, ai premi come alle punizioni.
L’equità di queste regole e la loro ottemperanza può influire in maniera prepotente sulla coesione di un gruppo di lavoro. Se capita, infatti, che ad alcuni membri del gruppo finiscano per essere fatte concessioni che ad altri non vengono fatte, ci sarà frustrazione e verranno alimentate tensioni agonistiche in grado di minare la coesione dell’insieme. Diversamente, se il successo dell’uno comporta anche quello dell’altro viene stimolata la cooperazione interna a scapito della competitività e la coesione non potrà che uscirne rinvigorita. La coesione di una work force può poi dipendere molto anche dalla distribuzione del lavoro fra i componenti del gruppo. È evidente che se si vengono a creare condizioni per cui alcuni membri del gruppo debbano sobbarcarsi una mole di lavoro eccessivo o debbano continuamente gestire i compiti più difficili o sgradevoli possano lievitare delle tensioni in grado di destabilizzare l’equilibrio complessivo.
Viceversa una giusta ripartizione del lavoro, che magari riesca anche a tener conto, per quanto possibile, dei desideri e delle inclinazioni di ciascuno, può senza dubbio giocare a favore della coesione: perché può evitare possibili frizioni; perché può fare del gruppo uno spazio di gratificazione per tutti i suoi componenti – evidentemente nella misura in cui si imponga come spazio per la gratificazione individuale il gruppo accresce la sua capacità di fidelizzare i propri membri. È anche questa una condizione in grado di favorire la coesione dell’insieme. Oltre che da fattori interni come quelli sopra elencati, la coesione di un gruppo può essere determinata anche da fattori esterni.
Nello specifico, difficoltà da superare, problemi da risolvere, imprese da compiere, avversari con cui competere rendono necessaria la cooperazione e gettano le basi per rafforzare l’unità del gruppo: vuoi perché ogni membro del gruppo finisce col riconoscere che la partecipazione degli altri nel perseguimento degli obiettivi comuni ha una valenza positiva o è addirittura indispensabile; vuoi perché i successi man mano conseguiti rinfrancano nei membri del gruppo la convinzione che si stia seguendo la strada giusta e che insieme si possano affrontare con successo tutte le asperità del percorso.
Indubbiamente il senso di appartenenza, i sentimenti di serenità e di soddisfazione che permeano l’esperienza in un gruppo di lavoro coeso possono avere ricadute positive tanto sui singoli quanto sul gruppo stesso. Per esempio, nello svolgimento delle attività in cui i singoli sono chiamati ad impegnarsi in quanto membri del gruppo il rendimento con buona probabilità è destinato ad essere superiore se l’umore è buono, se gli obiettivi comuni sono assolutamente chiari e condivisi, se si crede in ciò che si fa e si ha fiducia nella possibilità di un successo, se c’è la rassicurante convinzione che nei momenti critici ci sarà comunque qualcuno disposto a dare il suo aiuto.
Questo effetto benefico della coesione sul rendimento è suscettibile di farsi sentire soprattutto nei momenti difficili, quelli in cui occorre confrontarsi con lavori complessi e convivere con pressioni martellanti. La coesione ha un effetto benefico anche nella misura in cui può favorire la condivisione del sapere all’interno di un gruppo di lavoro. In un gruppo coeso, infatti, ci sono grosse probabilità che il know how di ciascun membro del gruppo possa integrarsi con quello degli altri e che tutti i componenti del gruppo possano fruire di tutte le informazioni e di tutte le esperienze maturate dai propri colleghi.
Questo può far si che tutti, lavorando, possano avere dei termini di confronto precisi e costruire l’uno sull’impegno dell’altro, mattone dopo mattone. A fronte di questo come di altri effetti indubbiamente positivi, la coesione è però anche in grado di produrre effetti negativi. A volte per esempio i membri di un gruppo di lavoro si appagano del lavorare insieme ma finalizzano poco. Rendimenti scadenti, debacle ed obiettivi falliti vengono sopportati ed accettati senza grossi patemi perché in un gruppo alquanto coeso risulta facile ed immediato sostenersi l’un l’altro, costruire assieme giustificazioni piuttosto che edulcorare le cose. Non riuscisse questo, più o meno consapevolmente il gruppo potrebbe attribuire difetti e colpe ad uno dei suoi membri, scaricando su questo capro espiatorio tutte le tensioni interne. In questa prospettiva, la coesione produce evidentemente un effetto negativo.
Una forte coesione può poi soffocare la dialettica interna al gruppo: si evitano i confronti e anche chi avrebbe qualcosa da dire evita di parlare per non creare turbative e gettare ombre sulle convinzioni dominanti. Se questo da un lato può contribuire ad evitare i conflitti, dall’altro rischia però di privare il gruppo del prezioso risultato che una buona gestione dei conflitti può portare: conoscenze, idee, creatività, coscienza dei processi relazionali interni…
Il sistematico soffocamento della dialettica interna può anche contribuire a far emergere nel gruppo una vera e propria mentalità totalitaria: un pensiero condiviso e radicato, portato avanti ciecamente e refrattario ad ogni possibile critica; un pensiero che alimentato dal consenso interno al gruppo può finire col far perdere di vista l’obiettività esponendo così al rischio di scelte disastrose. Anche in questa prospettiva la coesione produce effetti negativi – e di un certo rilievo. Ce n’è abbastanza per sostenere che connotare la coesione come un valore assolutamente positivo può rivelarsi un errore pericoloso.