Il Web 2.0, definizione coniata nel 2004 da Tim ‘O Reilly, ha stravolto Internet ponendo al centro della rete le relazioni sociali e conferendo all’Utente il ruolo di indiscusso protagonista. Abbiamo già introdotto in un articolo precedente questo paradigma incentrato sull’apertura, la condivisione e la partecipazione. Questi elementi, all’inizio hanno suscitato una reazione piuttosto tiepida nelle imprese, essendo tutt’altro che facile far convivere i principi del Web 2.0 con le esigenze aziendali. Basti pensare all’apertura del sistema, fondamento del 2.0, e a come questo si scontri con l’altrettanto fondamentale necessità di tutelare le opere d’ingegno di un’azienda, siano esse idee o prodotti finiti.
Eppure negli ultimi 4 anni qualcosa si è mosso, e il Web 2.0 ha iniziato a penetrare in modo sempre più pervasivo in ambito aziendale. Per fare il punto della situazione e cercare di prevederne i futuri sviluppi, School of Management del Politecnico di Milano ha istituito lo scorso anno un apposito Ossevatorio denominato Enterprise 2.0, che ha approfondito il rapporto tra Web 2.0 e impresa, analizzando oltre 150 tra aziende pubbliche e private. Il quadro risultante ci parla di un’inattesa varietà di forme che contraddistingue il panorama italiano, dove la propensione verso il Web 2.0 sta raccogliendo sempre più favori: il 58% degli IT Manager intervistati lo ritiene infatti un fenomeno che nessuna impresa dovrebbe sottovalutare. L’11% di essi lo considera addirittura una vera e propria rivoluzione che sta cambiando il modo di fare organizzazione.
Dello stesso avviso è Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio, secondo cui l’Impresa 2.0 è «una “rivoluzione emergente” che, per essere tradotta in valore per l’impresa, va gestita in modo sistemico attraverso più variabili, delle quali la tecnologia è soltanto una. La governance di un fenomeno di questa portata non potrà che essere anch’essa 2.0: emergente, aperta e collaborativa. Tutti i ruoli tendono a spostarsi, per lo meno in parte, nelle mani dell’utente finale, che potrà decidere cosa fare, realizzarlo e poi gestirlo in autonomia».
IT Manager e imprenditori devono muoversi con particolare cautela su quello che è, di fatto, un territorio ancora in fase di definizione. «L’invocare collaborazione e coinvolgimento non risolve il problema», continua Corso, «più che i ruoli formali e le rendite di posizione conteranno le personalità, le idee e le iniziative di coloro che, prima di altri, sapranno all’interno delle imprese comprendere il fenomeno, incoraggiarlo e guidarlo».
A contare, secondo Corso, sarà insomma la rottura dei tradizionali modelli organizzativi, l’apertura dei confini al contributo di soggetti esterni e la messa in discussione di concetti troppo rigidi per il 2.0, come lo spazio e l’orario di lavoro.
Tanti strumenti, tante imprese
Oltre che sull’innovativa filosofia organizzativa, il Web 2.0 poggia su una moltitudine di strumenti che ne hanno caratterizzato l’evoluzione e che sono ora a disposizione delle imprese. Tra i più famosi spiccano senza dubbio i blog, probabilmente il primo strumento 2.0 adottato in ambito aziendale (con il Corporate Blog o con il Business Blog), seguiti dalla SOA (la Service-Oriented Architecture che sta cambiando il modo di intendere i software aziendali) e i Wiki, che ormai sono andati ben oltre la celebre enciclopedia Wikipedia, divenendo un potente tool di collaborazione aziendale.
La caratteristica principale di questi strumenti è la semplicità di utilizzo, dovuta anche al fatto che provengono tutti dal mondo consumer. Anche per questo motivo non sono loro a frenare l’adozione del Web 2.0 nelle aziende italiane. Non è quindi la tecnologia a suscitare dubbi negli imprenditori, bensì la prospettiva di dover stravolgere il modello organizzativo. Secondo lo studio dell’Osservatorio, i principali ostacoli incontrati in italia sono legati anzitutto alla scarsa comprensione delle potenzialità del fenomeno 2.0 (nel 51% dei casi), nella difficoltà di individuare e valutare il ritorno economico (48% dei casi) e nella necessità di dover operare cambiamenti organizzativi (37%).
La maggior parte di queste barriere può essere superata con un maggior coinvolgimento del vertice aziendale, ad oggi ancora poco familiare con le tematiche del Web 2.0. Soltanto il 12% dei CEO ne ha una buona conoscenza, anche se il 14% di essi ha già programmato l’introduzione di logiche Enterprise 2.0. Tali ostacoli sembrano tuttavia soltanto temporanei, poiché il 2.0 si è già dimostrato in grado di poter rispondere egregiamente ad esigenze fondamentali delle imprese moderne.
Si tratta di strumenti e processi che sono sempre più diffusi anche nella realtà aziendale italiana, come dimostra l’Osservatorio:
- Conoscenza in rete (30% dei casi esaminati): gestione della conoscenza esplicita e tacita, esaltando così le caratteristiche della Knowledge Organization.
- Collaborazione emergente (30% dei casi): creazione di possibilità di collaborazione tra gli individui anche al di fuori dagli schemi organizzativi formali attraverso strumenti di natura sincrona (chat, videoconferenze) e asincrona (email, forum, wiki).
- Global mobility (25% dei casi): accesso adattativo a strumenti ed informazioni del Virtual Workspace anche in condizioni di mobilità, che rappresenta il territorio più fertile nel prossimo futuro.
- Riconfigurabilità adattativa (20% dei casi): supporto alla flessibilità e riconfigurabilità dei processi coerente con i cambiamenti della strategia organizzativa.
- Social networking (21% dei casi): supporto alla creazione di relazioni attraverso strumenti che permettono di rintracciare le persone con informazioni basilari o associando profili evoluti.
- Appartenenza aperta (diffusa nel 13% dei casi): apertura dei confini dell’organizzazione per consentire un più efficace coinvolgimento di attori esterni come fornitori, consulenti, partner e clienti.
A partire da queste sei dimensioni, sono stati individuati tre diversi percorsi che, seguendo la strada dell’Enterprise 2.0, portano ad altrettanti modelli organizzativi. Si tratta ovviamente di un cammino appena iniziato nel nostro Paese, dove il 48% delle imprese che lo hanno intrapreso si trovano ancora in una fase embrionale. Queste le tre tipologie di Enterprise 2.0:
Social Enterprise. È il profilo che sta raccogliendo maggiori consensi in Italia, dal momento che il 24% del campione ricade in questa categoria. Sostanzialmente l’Impresa Sociale è incentrata sullo sviluppo di nuovi schemi di collaborazione, condivisione della conoscenza e gestione delle relazioni. Un’azienda in grado di connettere un numero sempre maggiore di persone, con costi progressivamente inferiori e senza vincoli spazio-temporali. Le caratteristiche che contraddistinguono questa tipologia di impresa sono la grande efficacia e soprattutto l’efficienza dei processi di creazione e sviluppo della conoscenza.
Open Enterprise. Il 14% del campione ha optato per un’Azienda Aperta, i cui sistemi informativi sono aperti a contributi di persone e fonti diverse, offrendo al contempo servizi ed informazioni personalizzate ai diversi soggetti esterni. Si creano così nuove modalità di interazione che spesso si traducono in sostanziali innovazioni di processi, prodotti e servzi. La caratteristica principale dell’Open Enterprise è la sua spiccata propensione alla mobilità, che la rende in grado di operare con grande efficacia anche in situazione di dispersione sul territorio (filiali, sedi estere, partner).
Adaptive Enterprise. A pari merito con l’Open Enterprise, è il modello scelto dal 14% delle aziende analizzate. L’Impresa Adattva è in grado di rispondere con estrema facilità alle esigenze mutevoli dell’ambiente. Questo è possibile grazie a una gestione dei processi aziendali sempre più flessibile, che può diventare realtà adottando un’infrastruttura IT agile e in grado di integrarsi con l’intera organizzazione per evolvere con essa. Stiamo parlando non solo di un sistema informativo avanzato ma anche di strumenti 2.0 in grado di gestire processi eterogenei e integrare contenuti provenienti da fonti diverse. La caratteristica principale di questa tipologia di Impresa 2.0 è senza dubbio la sua estrema flessibilità, che la rende adattiva come i migliori esempi del Web 2.0.