Lavoratore e datore di lavoro
Il caso Telecom Italia induce a riflettere: perchè dopo il successo della sperimentazione non è partito un progetto di telelavoro su scala nazionale? Per un sistema culturale di management troppo tradizionalista, che vede ancora con diffidenza il telelavoratore perché non controllabile mediante presenza fisica.
Dallo studio indipendente Flexible Working 2009 della Dynamic Markets commissionato da Avaya, emerge che il telelavoro – inteso come lavoro flessibile, cioè non legato a orari o sede prestabilita – interessa appena 3.500 lavoratori in tutta Europa.
L’82% dei lavoratori italiani, interrogati sulla possibilità di ricorrere al lavoro flessibile, si è detto disponibile: in tempo di crisi soprattutto, tale pratica favorisce la creazione di nuovi posti di lavoro e la conservazione di quelli esistenti.
Inoltre il 33% ritiene che i lavoratori flessibili possano far risparmiare denaro alle aziende, visto che queste figure non sono costantemente presenti in ufficio.
Per il 51% la pratica permetterebbe di lavorare in modo più soddisfacente e per il 48% consentirebbe anche di essere più produttivi. Un dato sorprendente è che la media degli italiani intervistati sarebbe pronta a sacrificare il 12% dello stipendio pur di poter lavorare da casa.
Un’ulteriore ricerca commissionata dalla Regione Toscana ha evidenziato che il 75% degli intervistati riconosce come principale vantaggio del telelavoro il risparmio economico sulle spese di spostamento, con un abbattimento di circa 227 su base annua. Un dato inaspettato è stata la entusiasta percezione rilevata rispetto al livello di interscambio e comunicazione con i colleghi, probabilmente favorita dalla Intranet, utilizzata in ugual misura in ufficio e in telelavoro.
I volontari e la propensione al telelavoro non mancano, ora aspettiamo il committment dall’alto…