Se l’INPS fornisce a un assicurato un’informazione inesatta sul periodo che manca alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia deve poi risarcire il danno che eventualmente ne deriva. Lo stabilisce la Corte di Cassazione con una sentenza n. 23050/2017 sugli errori INPS che dà ragione a un lavoratore che aveva sottoscritto un accordo di rinuncia a impugnare il licenziamento, dopo il quale era stato messo in mobilità, nella convinzione che il periodo di ammortizzatori sociali fosse sufficiente a fargli maturare la pensione di vecchiaia. Questo, sulla base di comunicazione scritta da parte dell’INPS sulla situazione contributiva utile al pensionamento.
=> Pensioni INPS, guida in 7 passi
In parole semplici, l’INPS aveva erroneamente comunicato al lavoratore che i 18 mesi di mobilità fossero sufficienti ad accompagnarlo alla pensione. In seguito a questa comunicazione, il lavoratore aveva firmato l’accordo con l’azienda. Successivamente, aveva presentato domanda di pensione vedendosela però respingere per mancanza del requisito contributivo. Contrariamente a quanto l’INPS aveva comunicato, i 18 mesi di mobilità non erano sufficienti ad agganciare il requisito per la pensione.
=> La Mia Pensione, guida INPS al calcolo online
La Cassazione ha stabilito che:
In tema di erronea comunicazione al lavoratore, da parte dell’INPS, della posizione contributiva utile al pensionamento, l’ente risponde del danno derivatone per inadempimento contrattuale, salvo che provi che la causa dell’errore sia esterna alla sua sfera di controllo e l’inevitabilità del fatto impeditivo nonostante l’applicazione della normale diligenza.
In particolare, la comunicazione dell’ente previdenziale relativa ai dati sulla situazione previdenziale e pensionistica «ha valore certificativo», senza richiedere particolari forme (basta «la comprensibilità del cittadino munito del livello di istruzione obbligatoria») e non ci sono norme in base alle quali possano esserci in questa comunicazione parti accidentali o accessori di cui il destinatario debba tenere conto a suo rischio. Anzi, la Costituzione impone:
La veridicità degli atti e provvedimenti delle pubbliche amministrazioni, i quali giammai possono essere considerati come asserzioni su cui la prudenza richieda di non fare assegnamento.
Quindi, se un ente previdenziale, che ha personalità giuridica di diritto privato, comunica a un proprio assicurato «un’informazione erronea in ordine all’avvenuta maturazione del requisito contributivo occorrente per poter fruire della pensione di vecchiaia», ha l’obbligo di risarcire il danno che ne deriva. La responsabilità dell’INPS, in questo caso, è fondata:
Sull’inadempimento dell’obbligo legale gravante su enti pubblici dotati di poteri di indagine e certificazione, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede, di non frustrare la fiducia di soggetti titolari di interessi al conseguimento di beni essenziali della vita, fornendo informazioni errate o anche dichiaratamente approssimative, pur se contenute in documenti privi di valore certificativo.