Il mercato del lavoro italiano ha turnover basso (35%), mentre se si considera il solo dato relativo agli immigrati il tasso annuo è molto più alto ( 55%) e anche la mobilità sul territorio. In base ai dati del rapporto INPS 2017, l’introduzione del salario minimo potrebbe essere uno strumento per superare il mismatch (disallineamento) fra le competenze richieste dalle imprese e quelle offerte dai lavoratori, alimentato anche da questa scarsa mobilità (e poca diffusione della formazione on the job). Il risultato, potrebbe essere un aumento della produttività pari al 10%.
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Proseguiamo con i dati: i lavoratori immigrati, proprio grazie alla mobilità, nel corso della carriera lavorativa riescono a migliorare la propria situazione maggiormente rispetto agli autoctoni. Partono da stipendi molto più bassi, e riducono via via il gap con i salari dei colleghi di nazionalità italiana.
Il fatto che la mobilità sia premiante sul fronte della retribuzione è ulteriormente dimostrato dal seguente dato: fra i nati nel 1980, chi lavora in un Comune diverso da quello in cui è nato guadagna mediamente il 4% in più rispetto a chi ha scelto di non spostarsi.
Fra le barriere alla mobilità, la difficoltà propria del sistema italiano di valorizzare contributi versati in gestioni diverse. Negli ultimi anni la legislazione ha affrontato la questione, introducendo nuovi strumenti, come l’ampliamento del cumulo dei contributi previsto dalla legge di Stabilità 2017. L’obiettivo è quello di superare l’istituto della ricongiunzione onerosa, consentendo la valorizzazione di tutti i contributi versati nel corso della carriera lavorativa senza esborso economico. La misura introdotta dall’ultima manovra di bilancio, come è noto, prevede la possibilità di utilizzare il cumulo gratuito anche per andare in pensione anticipata (prima consentiva solo l’accesso alla pensione di vecchiaia), e lo estende alle casse previdenziali dei professionisti.
Cumulo contributi pensione: istruzioni INPS
La legge, sottolinea l’INPS, è però incompleta perché
«lascia spazio a due interpretazioni estreme: utilizzare, nel definire il diritto alla pensione, i requisiti anagrafici e contributivi più bassi» tra gestioni INPS e casse private, «oppure, al contrario, allinearsi ai requisiti più elevati».
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, la prima opzione (allineamento ai requisiti più bassi) è quella che premia maggiormente la mobilità, quindi in questo senso ha un impatto virtuoso sull’economia. Nell’immediato, però, potrebbe creare un problema di liquidità alle casse.
La seconda opzione, ha l’effetto opposto (premia meno la mobilità ma è conveniente per i bilancio degli enti previdenziali nel breve periodo).
L’INPS individua una terza ipotesi:
«definire in modo unitario la pensione sommando le posizioni contributive nelle varie gestioni, ma erogare le diverse quote del trattamento solo al perfezionamento dei requisiti anagrafici nelle diverse gestioni. Urge una decisione, che non può che essere politica, a riguardo. Bene che arrivi in fretta».
La mobilità dei lavoratori, oltre che quantitativamente superiore, dovrebbe essere anche di migliore qualità. La ricetta INPS: una politica di salari che riesca ad attirare i lavoratori verso le imprese dove la produttività è più alta e ci sono maggiori prospettive di crescita. La contrattazione salariale, però, prevede in genere incrementi retributivi legati ai cambiamenti nel numero di giornate lavorate, piuttosto che a variazioni nella produttività e nella retribuzione media giornaliera. Da qui, la proposta del salario minimo, che avrebbe il duplice vantaggio di «favorire il decentramento della contrattazione e di offrire uno zoccolo retributivo minimo per quel crescente numero di lavoratori che sfugge alle maglie della contrattazione».
Fonte: relazione INPS