Indennità a forfait per i contratti trasformati

di Noemi Ricci

Pubblicato 26 Gennaio 2017
Aggiornato 26 Giugno 2018 14:21

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La Corte di Cassazione conferma l'applicazione dell'indennità a forfait per conversione in contratto a tempo indeterminato anche ai giudizi in corso.

Si è espressa in tema di conversione in contratto a tempo indeterminato e applicabilità dell’indennità a forfait la Corte di Cassazione con la Sentenza n. 1552/2017, confermando l’efficacia retroattiva del collegato lavoro (Legge n. 183/2010). In particolare i giudici supremi hanno stabilito che in seguito alla conversione a tempo indeterminato del contratto a termine, il giudice d’appello deve applicare l’indennità a forfait introdotta dal collegato lavoro (art. 32, comma 5 della Legge n. 183/2010, come interpretata autenticamente dall’art. 1, comma 13 della Legge n. 92/2012), anche se la legge è entrata in vigore nel corso della causa.

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In sostanza la legge è applicabile a tutti i giudizi in tema di contratti a termine, compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della norma, dovendosi escludere che la disciplina risultante dal combinato disposto delle due disposizioni incida su diritti quesiti dei lavoratori, dal momento che è destinata ad operare su situazioni processuali ancora oggetto di giudizio.

In particolare nella sentenza si legge:

“Va menzionato il principio di questa Corte (Cass. Sent. N. 6735/2014; n. 3056/2012; 14996/2012), che questo Collegio condivide, secondo cui l’art. 32, comma 5, della legge n. 183/2010, come interpretata autenticamente dall’art. 1 comma 13 della legge n. 92/2012, è applicabile ai giudizi in corso in materia di contratti a termine dovendosi escludere che la disciplina dell’indennità risultante dal combinato disposto delle due norme incida su diritti acquisiti dal lavoratore poiché è destinata ad operare su situazioni processuali ancora oggetto di giudizio, non comporta un intervento selettivo in favore dello Stato e concerne tutti i rapporti di lavoro subordinati a termine.

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Né può ritenersi che l’adozione della norma interpretativa costituisca una indebita interferenza sull’amministrazione della giustizia o sia irragionevole ovvero, in ogni caso, realizzi una violazione dell’art. 6 CEDU, poiché il legislatore ha recepito, nel proposito di superare un contrasto di giurisprudenza e di assicurare la certezza del diritto a fronte di obiettive ambiguità dell’originaria formulazione della norma interpretata, una soluzione già fatta propria dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, senza che – in linea con l’interpretazione dell’art. 6 CEDU operata dalla Corte EDU (sentenza 7 giugno 2011, in causa Agrati ed altri contro Italia) – l’intervento retroattivo abbia inciso su diritti di natura retributiva e previdenziale definitivamente acquisiti dalle parti.

Né, l’art. 32 citato si pone in contrasto con la direttiva 1999/70/CE, come eccepito dal resistente, nella parte in cui ha effettuato la sostituzione del regime risarcitorio di diritto comune derivante dalla nullità della apposizione del termine con l’indennità commisurata da un minimo di 2,5 ad un massimo di 12 mensilità”.

 Fonte: Sentenza – Corte di Cassazione.