Le prime settimane di settembre vedranno la ripresa del tavolo governo parti sociali sulla riforma pensioni, e i vista di quella che si annuncia come la fase due del negoziato, nella quale si entrerà nel merito delle singole misure, riprende il dibattito politico. In vista, un accordo sui lavoratori precoci, adeguamento alle speranze di vita, ricongiunzioni onerose. Resta naturalmente il nodo centrale dell’APE, l’anticipo pensionistico per chi è a tre anni dalla pensione. Vediamo tutto.
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Fra i punti caldi, come detto, le agevolazioni per i lavoratori precoci. Si discute di un bonus contributivo di 4 o 6 mesi per ogni anno di lavoro svolto nella minore età, tra i 14 ed i 18 anni. Si tratta di un innalzamento convenzionale dell’anzianità contributiva che consente di agganciare prima i requisiti per la pensione anticipata, ovvero: 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Esempio: due anni di lavoro svolto fra i 16 e i 18 anni comporterebbero un bonus da 8 mesi a un anno di anticipo sulla pensione. Per i lavoratori precoci, si parla anche di eliminare la penalizzazione per le uscite anticipate prima dei 62 anni che dovrebbe scattare dal 2018.
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Per quanto riguarda l’adeguamento alle speranze di vita, in base al quale viene periodicamente alzata l’età pensionabile, si pensa a introdurre un intervallo maggiore rispetto agli attuali due anni (che scatterebbero dal 2019), e tetti massimi di anzianità contributiva oltre i quali i requisiti non verrebbero più adeguati. Accordo anche sul no alle ricongiunzioni onerose dei contributi: in pratica, sarà possibile totalizzare periodi presso gestioni diverse, applicando le regole di calcolo di ciascuna gestione, senza pagare penalità sulla pensione.
Fra i capitoli fondamentali della riforma, l’APE, che in base al piano del governo è una nuova forma di pensione anticipata per lavoratori dipendenti e autonomi con almeno 63 anni di età (62 nel caso delle donne del privato, 62 anni e 6 mesi per autonome e parasubordinate dal 2017). L’anticipo pensionistico è un trattamento che viene finanziato dal settore privato, ovvero dalle banche, ma erogato dall’INPS, e che il lavoratore restituirà poi con una decurtazione sulla pensione applicata per 20 anni. E’ allo studio un meccanismo di detrazioni fiscali per ridurre l’impatto sui redditi più bassi. Secondo i primi calcoli, il piano del governo comporta una penalizzazione superiore al 10% della pensione per chi si ritira con tre anni di anticipo.
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Il presidente dell’INPS, Tito Boeri ha recentemente proposto di concedere il bonus solo ai redditi familiari bassi, facendo diventare l’APE «una specie di reddito minimo per quella fascia critica di lavoratori che faticano a rimanere sul mercato del lavoro e sono a rischio di povertà». In pratica si prende come riferimento il reddito familiare, non il reddito pensionistico individuale, «come fa la quattordicesima che, proprio per questo, in 7 casi su 10 va a persone che povere non sono».
Nel sottolineare il ruolo dell’INPS nella riforma pensioni, Boeri spiega che l’istituto previdenziale «sarà al centro dei flussi finanziari e informativi fra lavoratori, imprese, banche e assicurazioni», è avrà il compito «di informare adeguatamente i lavoratori sulle implicazioni dell’eventuale scelta di un anticipo pensionistico. Ci baseremo sull’esperienza delle buste arancioni e avremo un ruolo consulenziale ancor prima che di erogatore».