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Pensioni, reversibilità ridotta incostituzionale

di Barbara Weisz

Pubblicato 15 Luglio 2016
Aggiornato 14 Luglio 2017 10:08

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La Corte Costituzionale boccia la norma 2011 che riduce la pensione di reversibilità del coniuge superstite molto più giovane del defunto, se sposato quando ultrasettantenne.

Irragionevole, incoerente, lesiva dei diritti previdenziali del coniuge superstite, e “fortemente dissonante rispetto all’evoluzione del costume sociale”: con queste motivazioni, la Corte Costituzionale (sentenza 174/2016) ha ritenuto illegittima la cosiddetta norma anti-badanti in base alla quale, dal 2012, subisce un taglio la pensione di reversibilità nel caso di matrimoni con differenza di età superiore ai vent’anni contratti dopo i 70 anni del coniuge più anziano.

=> Pensione di reversibilità: casi particolari

Bocciato, quindi, il comma 5 dell’articolo 18 del decreto legge 98/2011 secondo cui la pensione al superstite viene ridotta del 10% per ogni anno di matrimonio mancante rispetto al numero di dieci (10% se il matrimonio è durato nove anni, 20% se è durato otto anni, ecc.). Unica eccezione, la presenza di figli minorenni, studenti, o inabili.

Sentenza

«La ratio della misura restrittiva risiede nella presunzione che i matrimoni contratti da chi abbia più di settant’anni con una persona di vent’anni più giovane traggano origine dall’intento di frodare le ragioni dell’erario, quando non vi siano figli minori, studenti o inabili». Presupposto «fortemente dissonante rispetto all’evoluzione del costume sociale. Il non trascurabile cambiamento di abitudini e propensioni collegate a scelte personali emerge nitidamente dalla costante giurisprudenza di questa Corte, che prende in esame disposizioni dal contenuto affine, volte a negare il diritto alla pensione di reversibilità nell’ipotesi di matrimonio durato meno di due anni, celebrato dopo la cessazione dal servizio e dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età (sentenza n. 123 del 1990) o di matrimonio celebrato dopo il sessantacinquesimo anno di età, a fronte di una differenza di età superiore a vent’anni (sentenza n. 587 del 1988)».

=> Pensione Reversibilità: la norma bocciata

Attribuire rilievo all’età del coniuge al momento del matrimonio e alla differenza di età, scrivono ancora i giudici, significa introdurre una

«regolamentazione irragionevole, incoerente con il fondamento solidaristico della pensione di reversibilità, che ne determina la finalità previdenziale, presidiata dagli articoli 36 e 38 della Costituzione e ancorata dal legislatore a presupposti rigorosi».

La disposizione, che opera a danno del solo coniuge superstite più giovane esclusivamente nell’ipotesi di una considerevole differenza di età, conferisce «rilievo a restrizioni a mero fondamento naturalistico» che la giurisprudenza della Consulta «ha già ritenuto estranee all’essenza e ai fini del vincolo coniugale».

«Il nesso tra durata del matrimonio e ammontare della pensione di reversibilità non si correla a una previsione generale e astratta, eventualmente incentrata su un requisito minimo di convivenza, valido per tutte le ipotesi», ma si applica solo all’ipotesi «in cui il matrimonio sia scelto da chi ha già compiuto i settant’anni di età e la differenza di età tra i coniugi travalichi i vent’anni», in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, in base al quale «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

della Corte Costituzionale