Una lavoratrice dipendente che ha compiuto 57 anni nel 2015, ha la possibilità di andare in pensione anticipata con l’Opzione Donna nel 2016, mentre invece non rientra nella fascia di età che potrebbe utilizzare le nuove misure di flessibilità in uscita in preparazione per il 2017, per esempio l’APE, l’anticipo pensionistico: quindi, se non va in pensione quest’anno, anche con la Riforma Pensioni in preparazione, potrebbe non avere altre finestre per almeno cinque o sei anni (il condizionale è d’obbligo, non si esclude che l’Opzione Donna venga prorogata anche nel 2017).
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Vediamo comunque quali sono tutti gli elementi che la lavoratrice ha a disposizione per decidere fra Opzione Donna e APE, in base alle informazioni finora ad ora disponibili su questo nuovo strumento di flessibilità in uscita allo studio, sul quale si sta concentrando a prima fase del negoziato governo-sindacati sulla Riforma Pensioni. Il confronto è utile anche per valutare la differenza fra due strumenti per la pensione anticipata, uno già in essere e disponibile solo per le lavoratrici, l’altro allo studio, anche e soprattutto alla luce del dibattito sulla decurtazione della pensione.
Innanzitutto, identifichiamo la platea di lavoratrici interessate: l’Opzione Donna prevede 35 anni di contributi e 57 anni e tre mesi di età per le lavoratrici dipendenti, maturati entro il 31 dicembre 2015. In base alla Legge di Stabilità 2016, possono continuare ad accedere a questa forma di pensione anticipata le lavoratrici che hanno maturato il requisito entro la fine del 2015, anche se non hanno ancora presentato domanda. In prati,ca possono accedere all’Opzione Donna le lavoratrici nate entro il 30 settembre del 1958.
L’APE, anticipo pensionistico, invece, sarà utilizzabile a tre anni dalla pensione di vecchiaia, quindi a 63 anni e tre mesi, a partire dal 2017: riguarderebbe quindi, nel 2017 i lavoratori (uomini o donne, indifferetemente), nati dal 51 al ’53, nel 2018 i nati nel 54, nel 2019 i nati nel 1955. Come si vede, la differenza di età è notevole, alle lavoratici con l’Opzione Donna viene offerta una possibilità di pensionamento con molti più anni di anticipo.
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Ecco come questo gap si riflette sulla misura del taglio pensionistico: più consistente con l’Opzione Donna, che prevede un calcolo interamente contributivo della pensione, determinando di fatto un taglio intorno al 25-30% del trattamento pieno. In realtà, con il crescere dello stipendio aumenta anche il taglio che la pensione subisce: una lavoratrice che guadagna 60mila euro l’anno, scegliendo l’Opzione Donna può perdere fra il 35 e il 40% della pensione, sostituendo il sistema misto con quello puramente contributivo.
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Con l’APE, invece, il taglio della pensione avviene in base a un meccanismo totalmente diverso: il lavoratore percepisce un trattamento, per gli anni che mancano alla pensione di vecchiaia, che rappresenta un anticipo pensionistico, che poi restituirà con un piano di ammortamento 20ennale. La decurtazione, quindi, dipende dall’importo dell’anticipo, che sale con gli anni di prepensionamento (che possono essere al massimo tre). Secondo i primi calcoli degli analisti, la penalizzazione massima, con tre anni di anticipo, è intorno al 20-25%. Attenzione, però, allo studio c’è anche un meccanismo di detrazioni che alleggerisce il pezo della decurtazione, fino ad azzerarla per i redditi più bassi. Sulla consistenza e la modulazione di queste detrazioni non si sa nulla di preciso, quindi non si possono fare calcoli.
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Si può prendere però come riferimento un reddito medio alto, che con l’Opzione Donna subisce un taglio anche superiore al 30%, mentre con l’APE (ipotizzando uno scarso peso della detrazione applicabile) lo riduce intorno al 20%.